Le udienze da remoto non sono più una soluzione di emergenza, ma una realtà sempre più strutturale della giustizia italiana. Nata sotto la spinta della pandemia, la digitalizzazione dei processi ha superato la fase sperimentale e oggi si sta trasformando in una prassi quotidiana, soprattutto nel settore civile e nelle fasi preliminari del penale. Il tribunale entra negli schermi di computer e smartphone, ridefinendo tempi, modalità e persino il linguaggio della giurisdizione.
La promessa è quella di una giustizia più rapida ed efficiente. Meno file nei corridoi, meno rinvii legati alla logistica, meno trasferte per avvocati e parti. Le udienze online consentono di comprimere i tempi morti e di ridurre i costi, offrendo anche una maggiore accessibilità a chi vive lontano dalle sedi giudiziarie. Per l’amministrazione, poi, rappresentano una risposta concreta al problema cronico dell’arretrato e un tassello fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi del PNRR.
Ma dietro lo schermo non tutto funziona sempre allo stesso modo. La connessione che salta, l’audio disturbato, la difficoltà di interagire in tempo reale sono problemi frequenti che rischiano di trasformare la semplificazione in un nuovo ostacolo. Il nodo più delicato resta però quello del diritto di difesa. Molti avvocati, soprattutto nel settore penale, sottolineano come la presenza fisica in aula resti insostituibile nei momenti decisivi del processo, dove la valutazione della credibilità di un testimone o la percezione del clima emotivo fanno parte integrante del giudizio.
C’è anche un tema meno tecnico ma non meno rilevante: la perdita della dimensione simbolica del processo. L’aula di tribunale non è solo uno spazio funzionale, ma un luogo che rappresenta l’autorità e la solennità della giustizia. Trasformare l’udienza in una finestra digitale rischia di rendere il rito meno tangibile, più simile a una riunione di lavoro che a un momento istituzionale.
Il futuro sembra orientarsi verso un modello ibrido. Le udienze da remoto sono destinate a rimanere per tutto ciò che è procedurale e ripetitivo, mentre la presenza fisica continua a essere considerata centrale nei passaggi più delicati. La vera partita, però, non si gioca solo sulla tecnologia, ma sulla fiducia dei cittadini. La giustizia può diventare più veloce grazie al digitale, ma la domanda che resta aperta è se riuscirà anche a mantenere quell’equilibrio di umanità, trasparenza e autorevolezza che dà senso al processo.


