12 Dicembre 2025

Privacy e AI: quali dati stiamo davvero condividendo con i sistemi intelligenti

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Privacy e AI: quali dati stiamo davvero condividendo con i sistemi intelligenti

Nel cuore della rivoluzione digitale, l’intelligenza artificiale non è più solo una promessa tecnologica: è parte integrante della nostra quotidianità. Dalle app che usiamo per organizzare viaggi e messaggi, ai sistemi che analizzano la nostra voce o le nostre foto, AI raccoglie, elabora e inferisce dati. Ma qual è il confine tra innovazione e violazione della privacy? E, soprattutto, quali informazioni stiamo davvero condividendo – consapevolmente o no – con i sistemi intelligenti?

L’AI non è neutrale: la dipendenza dai dati

I sistemi di intelligenza artificiale si “nutrono” di quantità immense di dati per funzionare: dai testi digitati nelle chat ai comportamenti di navigazione, passando per immagini, video, profili social e persino dati biometrici. Questi dati non sono solo utilizzati per rispondere a una domanda o a una richiesta, ma spesso servono ad addestrare e ottimizzare i modelli, con l’obiettivo di renderli più precisi e performanti. 

In pratica, ogni volta che interagiamo con un assistente vocale, con un chatbot o con algoritmi di raccomandazione, stiamo cedendo informazioni che possono essere conservate, analizzate e, in alcuni casi, riutilizzate per altri scopi – ben oltre la richiesta immediata dell’utente. 

Il problema si complica ulteriormente quando dati raccolti per un determinato servizio vengono riutilizzati per addestrare modelli di AI generativa o condivisi tra partner tecnologici in modi non sempre trasparenti agli utenti. 

Quali dati sono in gioco? Dal superficiale al sensibile

Molti utenti tendono a pensare che l’AI utilizzi solo dati “apparentemente innocui”: domande testuali, preferenze di consumo o cronologia di navigazione. In realtà, i sistemi avanzati possono raccogliere ed elaborare anche informazioni molto più sensibili:

  • Dati biometrici come impronte digitali, scansioni facciali o modelli vocali, usati da strumenti di riconoscimento e sicurezza. 
  • Dati comportamentali e psicometrici, estratti da pattern di utilizzo che permettono di profilare preferenze, attitudini e perfino stati emotivi. 
  • Contenuti creati dagli utenti, inclusi testi, immagini e commenti pubblicati sui social: sebbene spesso pubblici, questi materiali possono finire nei dataset che addestrano nuovi modelli di AI. 

In casi più controversi, piattaforme di grandi dimensioni hanno annunciato l’intenzione di utilizzare contenuti degli utenti per l’addestramento di modelli AI, con obblighi di notifica e possibilità di opposizione imposti solo di recente anche in Europa. 

La sfida delle regole: trasparenza, consenso e diritto di opposizione

Nel contesto europeo, la protezione dei dati personali è disciplinata dal Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR), che sancisce principi di minimizzazione, trasparenza e finalità specifica nel trattamento dei dati. Tuttavia, l’AI solleva questioni nuove. La Legge italiana 132/2025, ad esempio, introduce l’obbligo di spiegabilità dei sistemi intelligenti in linguaggio chiaro, per consentire agli utenti di conoscere cosa e come i loro dati vengono trattati. 

Un elemento chiave è il consenso informato: non basta che un utente accetti una policy generica. La normativa richiede che le informazioni siano fornite con chiarezza, e – soprattutto – che l’utente abbia la possibilità di rifiutare specifici trattamenti senza compromettere l’uso del servizio. 

Rischi concreti: profilazione, “black box” e violazioni

I modelli di intelligenza artificiale non si limitano a reagire a dati grezzi: essi costruiscono profili sofisticati degli utenti per prevedere comportamenti, suggerire contenuti o personalizzare servizi. Questo processo — seppure utile per migliorare l’esperienza — può portare a una forma di sorveglianza algoritmica, in cui il confine tra personalizzazione e invasione della privacy diventa sottile. 

Un altro rischio è la cosiddetta “black box” dell’AI: sistemi tanto complessi da risultare difficili da interpretare, anche per gli stessi sviluppatori. Senza trasparenza, gli utenti non possono comprendere come e perché i loro dati vengono utilizzati e, di conseguenza, esercitare i propri diritti di accesso, rettifica o cancellazione. 

Salvaguardie e tecnologie per la privacy

Mentre il quadro normativo evolve, crescono anche le tecnologie destinate a mitigare i rischi. Tra queste:

  • Anonymizzazione e pseudonimizzazione dei dati, per ridurre l’identificabilità diretta delle informazioni condivise. 
  • Federated learning, una tecnica che consente a modelli di apprendere da dati distribuiti senza trasferirli centralmente, preservando privacy e sicurezza. 
  • Privacy by design, un approccio che integra la protezione dei dati sin dalla fase di progettazione dei sistemi intelligenti. 

Il ruolo dell’utente consapevole

Al di là delle tecnologie e delle leggi, la consapevolezza degli utenti resta fondamentale. Conoscere le implicazioni della condivisione di dati, leggere le policy con attenzione e utilizzare strumenti che offrono maggior controllo su quali informazioni vengono condivise può fare la differenza.

In un mondo in cui l’intelligenza artificiale permea servizi quotidiani, dai motori di ricerca ai suggerimenti di contenuti, capire cosa viene “invisibilmente” raccolto e utilizzato non è più un’opzione, ma una necessità per difendere la propria privacy digitale.

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