Non servono proclami per costruire ponti: a volte basta un viaggio. È così che Rita Strollo, partita più di dieci anni fa per l’Africa per un motivo personale, ha trovato invece una direzione. Tornò in Italia con una certezza semplice e ostinata: quella terra, con i suoi odori e la sua umanità generosa, non l’avrebbe più lasciata. Da quell’incontro – e dall’amicizia con Valentina Spera – nasce Ujamaa Onlus, presieduta da Rita, un progetto che unisce la Piana del Sele al Senegal con il passo silenzioso e concreto della solidarietà.
Non è la solita favola del “vado a salvare il continente nero”. Dio ce ne scampi. Rita l’Africa non l’ha mai guardata con l’occhio dell’europeo missionario, portatore di civiltà e senso del dovere. Anzi: lo dice con una semplicità che spiazza: “L’Africa ha tutto. È un posto meraviglioso. Sono loro che hanno accolto me, non il contrario.”
E questa frase, che farebbe arrossire molti professionisti dell’assistenzialismo, contiene già tutta la sua rivoluzione. Da quell’esperienza del 2013 nasce, qualche anno dopo, Ujamaa, parola swahili che significa “famiglia”. Una Onlus costruita con l’amica e compagna di viaggio Valentina Spera. Due donne che hanno messo insieme un progetto capace di legare il Salernitano e il Senegal con un filo che nessuno potrà più recidere.


Negli anni Ujamaa ha contribuito alla nascita e al sostegno di centri medici nei villaggi senegalesi: Poste de Sante de Diender, Poste de Sante de Darou Salam. Ha dato forma a una casa per bambini di strada, la Casa Ujamaa di Mbacke, e ha sostenuto scuole, portando istruzione dove spesso la scuola è l’unica porta ancora aperta verso il futuro. E poi c’è il fiume di materiali che dall’Italia parte e arriva in quei luoghi: medicinali, materiale didattico, fasciature, presidi sanitari, tutto ciò che serve per allestire una medicheria in un villaggio che, altrimenti, resterebbe scoperto.
Oggi il sogno di Rita è costruire una struttura per minori, un luogo sicuro per chi sicuro non ha niente. E mentre questo sogno cresce, cresce anche la rete intorno a lei: nel Salernitano, ormai, quando si sa che Rita “sta facendo un progetto”, la gente la cerca, la chiama, le porta materiali, medicinali, zaini, libri. È un abbraccio comunitario. Quei gesti che non finiscono sui giornali ma che raccontano, meglio di mille editoriali, che un territorio può essere generoso, e persino visionario, quando trova qualcuno in cui credere.
Rita in Africa torna sempre. Non perché deve: perché non può farne a meno. Degli odori, dei colori, dei volti, di quella forma di accoglienza che da noi, spesso, si è persa nelle diffidenze. Lei restituisce ciò che ha ricevuto. Lo fa senza retorica, senza presunzione. Lo fa perché la famiglia – Ujamaa, appunto – è un concetto che non si sceglie: si vive.



