4 Novembre 2025

Divisione delle carriere nella magistratura: cosa significa e cosa cambia davvero

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Divisione delle carriere nella magistratura: cosa significa e cosa cambia davvero

La riforma della magistratura, con la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, è tornata al centro del dibattito politico e istituzionale. Si tratta di una modifica profonda al funzionamento della giustizia italiana, destinata a cambiare il rapporto tra chi indaga e chi giudica, con l’obiettivo dichiarato di rendere il sistema più equilibrato e trasparente.

Da un’unica carriera a due percorsi distinti

Oggi in Italia magistrati giudicanti (i giudici) e requirenti (i pubblici ministeri) appartengono allo stesso ordine e possono, nel corso della loro carriera, passare da una funzione all’altra. Entrambi fanno parte del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), l’organo di autogoverno che garantisce l’indipendenza della magistratura.

La divisione delle carriere – proposta già da anni e ora tornata al centro della riforma costituzionale – prevede di separare nettamente i due ruoli, creando due percorsi autonomi e due organi di autogoverno distinti:
• uno per i giudici, che continueranno a esercitare la funzione di giudizio;
• uno per i pubblici ministeri, che si occuperanno delle indagini e della pubblica accusa.

Gli obiettivi della riforma

Secondo i promotori, la riforma serve a rafforzare l’imparzialità del giudice, che non dovrà appartenere allo stesso corpo professionale di chi conduce l’accusa. In questo modo si intende garantire una maggiore equidistanza tra accusa e difesa, secondo un modello più vicino a quello di tipo anglosassone. I sostenitori ritengono che la separazione delle carriere favorisca una giustizia più “terza” e trasparente, dove il giudice non sia mai percepito come vicino all’accusa.

Le critiche e i timori

Dall’altra parte, una parte del mondo giudiziario e accademico teme che la riforma possa indebolire l’autonomia complessiva della magistratura e rendere i pubblici ministeri più esposti all’influenza del potere politico. Separare completamente giudici e pm – sostengono i critici – potrebbe infatti creare due giustizie diverse, rompendo quel legame culturale e istituzionale che ha finora garantito l’indipendenza dell’intero ordine giudiziario.

Il dibattito resta aperto e tocca un punto delicato: come bilanciare l’esigenza di imparzialità del giudice con quella di indipendenza del pubblico ministero. La sfida è assicurare che la separazione non diventi divisione, e che il principio costituzionale dell’autonomia della magistratura resti pienamente garantito.

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