Figlio del mare: un pomeriggio con Marco Cammardella a Palinuro, tra abissi e risalite
| di Dario Marrazzo
Punta Spartivento, nel tratto più selvaggio della costa palinurese, è un luogo dove maestose rocce si tuffano nell’azzurro intenso del mare, tra sfumature incredibili. Qui nuota la cernia dorata, molto apprezzata in cucina. E qui Marco Cammardella, dopo aver indossato una muta rossa, ama immergersi dal suo gommone per esplorare le profondità marine, spesso restando lunghi minuti in apnea sott’acqua. “Mi sento figlio del mare”, dice.
Il mare, infatti, ce l’ha nel sangue, avendo ereditato questa passione dal padre Mario, sub anche lui. Nella sua storia l’ambiente marino non si limita certo a una distesa d’acqua, ma rappresenta una connessione con la vita, una palestra in cui crescere: “Cercavo rifugio dal dolore che mi annientava immergendomi senza paura negli abissi più oscuri”, racconta, ricordando la perdita di una persona cara durante l’adolescenza. “Lentamente, però, in quel buio ho trovato la luce. Sono rinato nel fisico e nella mente grazie alla perseveranza.”
Proprio in un’avventurosa risalita dagli abissi, poi, un incidente cruciale nella sua formazione: “Ebbi un mancamento. Fui trovato privo di sensi da mio padre e dai militari della guardia costiera. Il giorno dopo sono tornato in acqua. Da allora il mare è diventato uno stile di vita, al punto che oggi non posso rinunciarci. Custodisco questo ricordo come un insegnamento, riconoscente al mare per avermi dato una seconda vita.”
Di vitale importanza, prime e durante le immersioni, ascoltare e rispettare la voce del proprio corpo, le proprie emozioni. “Serve un’intensa connessione interna. Io mi regolo sui battiti del cuore, che in profondità riecheggiano bene. Come un’ipnosi, chiudo gli occhi e mi rilasso fino a ritrovarmi in un altro mondo.”
Un mondo, quello marino, che non è solo un luogo fisico, ma una metafora della vita, nei cui abissi si fondono oscurità, meraviglia e mistero.









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