L’assurdo utilizzo dei social e lo schifo sulla presunta morte di Valiante

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L’assurdo utilizzo dei social e lo schifo sulla presunta morte di Valiante

Umberto Eco prima di lasciare questo mondo per trasferirsi in una dimensione forse più comoda con vista sullo sfracello che stiamo combinando quaggiù, ha deciso di cederci, forse in eredità, due righe (che rientrano sicuramente tra quelle che preferisco di più ricordare a memoria), che dovrebbero servire d’esempio (ma qui anche una parola semplice come ‘esempio’ dovrebbe essere spiegata, studiata e sillabata per bene) ai pollicioni incalliti, re indiscussi dei social, sovrani delle cazzate virali, prìncipi della distruzione dei princìpi cardine del sapere campare (scusate l’omografia).

In una lectio magistralis tenuta all’università di Torino, nel giugno del 2015, Eco scatenò un dibattito pubblico sostenendo: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Un tantino «forzata» la definì qualcuno. Altri invece insorsero contro quella che ritennero «un’arrogante manifestazione di cultura élitaria da parte del Maestro».

Ma come spesso accade al giorno d’oggi, chi aprì bocca (e continua a farlo) non percepì nemmeno il senso di quella sua semplice constatazione, tesa a stigmatizzare piuttosto il fatto che, per ripetere la metafora di Alex Horowitz, il cittadino del ventunesimo secolo somiglia sempre più a una fulminea lepre della tecnologia, la quale si comporta e comunica come una tartaruga dell’etica, cioè disconosce o ignora volontariamente i limiti e i rischi etico-dialogici delle opportunità tecniche offertegli dagli strumenti avanzatissimi che ha in mano, senza perciò migliorare la qualità di ciò che ci scambia. Al contrario: le nefandezze fioccano, le fake news non si contano più e accade che un uomo ricoverato in ospedale in gravi condizioni, muore improvvisamente per mano di un manipolo di imbecilli.

E’ avvenuto oggi con Antonio Valiante, è successo in passato con tanti personaggi noti dello spettacolo, accadrà in futuro se Facebook non imposta delle limitazioni e la legge non interviene in modo netto, deciso.

Antonio Valiante, 79 anni, è ricoverato da qualche giorno in gravi condizioni all’ospedale San Luca di Vallo della Lucania. L’uomo, ex politico, ha ricoperto, tra gli altri, anche il ruolo di vice presidente della regione Campania e assessore del consiglio regionale campano. E’ di Cuccaro Vetere ed è noto a tutti in Cilento. Il figlio, Simone, è un esponente del Pd, nonchè membro del direttivo del Consac, la società che gestisce gli impianti idrici del comprensorio.

A mezzogiorno di oggi, lunedì 7 gennaio 2019, il mio telefono ha emesso un suono, poi due, poi tre. Ho aperto Whatsapp, la nota applicazione di messaggistica instantanea, e in tre chat diverse si parlava della morte di Antonio Valiante. Sapevo del suo ricovero e delle sue condizioni di salute precarie ma non ero a conoscenza dell’imbecillità di alcuni. Ho fatto un giro rapido di telefonate. E mentre le bacheche dei social affogavano in mezzo ad una marea di stronzate, dall’altro capo della cornetta (ormai estinta, lo so, ma a me questo nome piace riportarlo sempre, forse per nostalgia, forse per abitudine) arrivavano ripetute smentite.

«Valiante non è morto. E’ grave, non sta bene. Ma non è morto». Intanto i giornali titolavano: «Addio ad Antonio Valiante», e ancora: «Lutto nel mondo della Politica: è scomparso Antonio Valiante». Ora c’è una considerazione da fare, forse più di una ma ci fermiamo a quel poco che vogliamo condividere con chi legge: sui social la montagna di imbecilli che ogni giorno scrive per accaparrarsi una manciata di ‘mi piace’ e per cercare di dare un senso, anche se effimero, alla propria deludente giornata, è acclarata. E’ lì e nessuno la smuove. Anzi, aumenta a dismisura, a vista d’occhio. Purtroppo.

Ma, non me ne vogliano i miei colleghi, queste testate che contano milioni di visualizzazioni al giorno, queste redazioni che hanno «ucciso» un uomo che è ricoverato in un nosocomio della provincia Sud di Salerno, così, senza un motivo logico, senza un briciolo di rigore etico e morale, lo sanno cosa hanno scatenato? Ho saputo di personaggi politici del Cilento che avevano già chiamato il tipografo per i manifesti di cordoglio, altri hanno già fatto partire un fax. I cellulari dei familiari sono stati inondati di messaggi e telefonate. Ma qualcuno si è messo nei panni di queste persone? Ma si può morire così, solo perchè su Facebook dobbiamo fare la corsa a scrivere un fatto, solo perchè ognuno di noi si erge a tuttologo del nulla? Quando finirà tutto questo? Che differenza c’è tra un giornalista che collabora con un quotidiano online e condivide i propri pezzi sui social e un individuo qualunque che posta la foto di Antonio Valiante accompagnata dalla scritta «Addio, condoglianze alla famiglia»?

E poi: tutti quei link cancellati, tutte quelle smentite non pubblicate. Vacci a cliccare adesso su quei titoloni inutili, recitano tutti la stessa filastrocca: 404 – Resource not found. Che figura di merda. Che insana pazzia.

Facebook si trascina con se’ tutto e tutti fanno la gara ad apparire. Nessuno più vuole essere in un mondo dove si va veloce. E non importa se le cose le facciamo male, l’importante è che le facciamo in fretta, prima degli altri. Facebook ha superato ormai il limite della decenza. E nessuno può dire il contrario. Facebook è ormai un’arma, molto più pericolosa di quanto ognuno di noi possa immaginare. Facebook è irriverenza, è sfacciataggine, è guerra, è odio, è ignoranza. E allora? Che facciamo? Da un lato gli utenti continuano a condividere tutto? E noi giornalisti? Appena ci arriva una mezza voce, facciamo un titolo e buttiamo subito in macchina? Conviene? Quale è il guadagno? I clic? Le condivisioni? La crescita del Seo in modo spropositato?

Io i social media (purtroppo) non posso spegnerli per lavoro. Ma vale ancora la pena essere iscritto a Facebook? Perchè non cancellarsi? Perchè non limitarsi? Perchè, Mark, non valuti la possibilità di vietare questo strumento agli sprovveduti? Ne guadagnerebbe il mondo, di bellezze. E di pace.

E intanto, a sera, i bar dei paesi, per fortuna, continuano talvolta ad essere popolati dagli «imbecilli» di Eco. Si blatera di calciomercato, di politica spicciola, di chiacchiericci a sfondo sessuale. Presunte «corna», scappatelle notturne, «quest’anno vinciamo la Champions». «Con chi la vinci? Tu e chi?», vorrei rispondere a volte. E poi la briscola, le «coppole» e le Peroni. Meglio perderli lì 10 minuti che dietro al mondo costruito dei social. Almeno, gli «imbecilli» di Eco, hanno il coraggio di dirtele guardandoti negli occhi, le stronzate.

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