9 Novembre 2025

L’avvocato risponde | Non mi dovete risarcire solo il piede rotto, ma tutto il mio malessere psicologico

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L’avvocato risponde | Non mi dovete risarcire solo il piede rotto, ma tutto il mio malessere psicologico

La sofferenza interiore come componente autonoma del danno risarcibile.
La pronuncia della Suprema Corte segna un passo significativo nella tutela del diritto al risarcimento integrale della persona. Il caso riguardava un pedone investito, che chiedeva il ristoro del danno non patrimoniale: non solo del danno biologico (cioè della menomazione dell’integrità psicofisica), ma anche della sofferenza interiore, del dolore e del turbamento soggettivo derivante dall’evento.
La Corte ha deciso che il giudice di merito non può limitarsi a liquidare il danno sulla base della sola invalidità permanente o temporanea, senza motivare in modo specifico se la somma include o meno anche la componente della sofferenza soggettiva.

In altre parole, la Cassazione ha ribadito che la sofferenza interiore ha uguale valenza rispetto al danno biologico, nel senso che, pur non essendo immediatamente quantificabile con la stima medico-legale della menomazione, costituisce un pregiudizio che deve essere preso in considerazione dal giudice, e non può essere “assorbito” in via tacita dal danno biologico senza motivazione.
Per la Corte: “è illegittima la statuizione del giudice di merito che ometta di pronunciarsi sulla richiesta di ristoro … nella componente costituita dal dolore e dalla sofferenza soggettiva (c.d. danno morale)”.

Va precisato che la distinzione tra danno biologico e danno morale non è una mera tecnica contabile, ma riflette due dimensioni diverse della sofferenza della vittima.
Il danno biologico, che attiene alla alterazione dell’integrità psicofisica della persona ed è certificabile da un CTU con percentuale di invalidità, giorni di ITT, etc.ed il danno morale (o sofferenza interiore), che attiene al vissuto soggettivo, il dolore, l’angoscia, la diminuzione della qualità della vita, la paura di ripercussioni, il turbamento, la vergogna, la perdita di tranquilla dimensione esistenziale.

La Cassazione richiede che, anche quando si utilizzi un parametro tabellare, il giudice espliciti se la liquidazione comprende la componente morale oppure no. Se non lo fa, si configura omessa pronuncia e la decisione viene cassata.

L’importanza pratica di questa decisione è rilevante: significa che le vittime di lesioni,in particolare nei sinistri stradali, non devono rassegnarsi a voci risarcitorie ridotte solo alla «menomazione accertabile», ma hanno diritto a che la loro sofferenza interiore venga considerata e quantificata. A maggior ragione in contesti ove la “tavola” tabellare offre una liquidazione presuntiva che, per sua natura, tiene conto, almeno in parte, anche della componente soggettiva. Tuttavia, come chiarito dalla Cassazione, non è sufficiente richiamare la tabella: occorre motivare se la somma assorbe anche la sofferenza interiore o se questa merita autonoma apprezzamento e aumento.

In buona sostanza, la sofferenza interiore non è una voce facoltativa o residuale, ma un elemento autonomo e imprescindibile del danno non patrimoniale.
Essa va riconosciuta nella misura in cui la lesione abbia comportato una perturbazione dell’esistenza della vittima: il risarcimento integrale della persona, come previsto dagli artt. 2059 e 1223 c.c., impone che il danno biologico e il danno morale siano valutati unitariamente ma distinti, con adeguata motivazione e trasparenza.

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