Offendere un professore nella chat dei genitori: la Cassazione chiarisce che non è una “zona franca”
Con la sentenza, la Corte di Cassazione torna a occuparsi dei limiti giuridici delle comunicazioni digitali, chiarendo che le chat dei genitori, spesso utilizzate per scambi rapidi su questioni scolastiche, non costituiscono né un porto franco né una terra di nessuno sul piano penale.
Il caso trae origine da espressioni gravemente offensive rivolte a un professore all’interno di una chat WhatsApp composta dai genitori degli alunni.
L’autore dei messaggi aveva sostenuto che il contesto “privato” e la finalità informale della chat escludessero la rilevanza penale delle frasi pronunciate.
Tesi che la Cassazione ha nettamente respinto: infatti, secondo i giudici di legittimità, l’offesa rivolta a un insegnante, anche se veicolata in un gruppo chiuso e non direttamente indirizzata alla persona offesa, integra il reato di diffamazione ex art. 595 c.p., quando il messaggio è percepibile da più soggetti e le espressioni utilizzate ledono la reputazione del destinatario.
La pluralità dei partecipanti alla chat realizza infatti il requisito della comunicazione con più persone, elemento costitutivo del reato.
La Suprema Corte sottolinea come la natura digitale del mezzo amplifichi la portata offensiva del messaggio: la diffusione è immediata, potenzialmente incontrollabile e idonea a consolidare un giudizio negativo sulla persona offesa all’interno di una comunità ben definita, quale quella scolastica.
Né rileva che il professore non faccia parte del gruppo: è sufficiente che l’offesa circoli in un contesto sociale a lui riferibile.
La sentenza richiama inoltre il dovere di continenza espressiva, ricordando che il dissenso verso l’operato di un docente è legittimo, ma deve essere manifestato con modalità corrette e rispettose.
La critica degenera in illecito penale quando trascende in attacchi personali, insulti o denigrazioni gratuite.
Il messaggio della Cassazione è chiaro: le chat dei genitori non sospendono il diritto penale.
Anche dietro uno schermo, le parole hanno un peso giuridico e possono comportare responsabilità penali concrete.
In ambito scolastico, il rispetto reciproco resta un principio imprescindibile, online come nella vita reale.


