L’avvocato Simone Labonia ci spiega come a volte si possa verificare l’insorgere di questo reato, assurdo per la nostra epoca!
Il reato di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, disciplinato dall’art. 600 del Codice penale, rappresenta una delle fattispecie più gravi previste dall’ordinamento giuridico. Non si tratta di una violazione legata semplicemente all’assenza di un contratto o di tutele: è un delitto che si configura quando la libertà della persona viene compressa al punto da annullarne l’autodeterminazione, trasformando il rapporto di lavoro in una forma di dominio.
La cronaca, di recente, ha portato alla luce situazioni di grave sfruttamento, nate da un contesto di lavoro nero, ma degenerate ben oltre la dimensione amministrativa o giuridica.
Il confine si supera quando il datore di lavoro pone in essere comportamenti idonei a ridurre la vittima in uno stato di soggezione continuativa, tale da renderla incapace di autogestirsi. Elementi tipici sono: imposizione di turni massacranti, retribuzioni irrisorie o inesistenti, controllo costante degli spostamenti, minacce, violenze, ritenzione dei documenti, alloggi degradati e dipendenza economica assoluta.
La giurisprudenza ha chiarito che la schiavitù contemporanea non richiede catene o coercizioni fisiche: è sufficiente una condizione di sfruttamento che, per intensità e durata, impedisca alla persona di autodeterminarsi. In molte situazioni, soprattutto nel settore agricolo ed edilizio, la vulnerabilità del lavoratore, spesso straniero, privo di alternative o di permesso di soggiorno stabile, diventa terreno fertile per dinamiche di controllo totale.
La pena prevista è severissima: reclusione da 8 a 20 anni, con aggravanti se la vittima è minorenne, se lo sfruttamento è realizzato con violenze o minacce, o se il fatto è commesso nell’ambito di attività organizzate.
Ovvuamente, non tutti i casi di lavoro nero configurano automaticamente il reato: la mancanza di contratto resta di per sé una violazione amministrativa o civile. Ma quando si crea una condizione di asservimento, l’ordinamento interviene con lo strumento più duro del diritto penale.
Il contrasto a questo fenomeno richiede dunque non solo controlli ispettivi, ma la capacità di riconoscere i segnali di un rapporto che da irregolare diventa disumano: perché la schiavitù, pur mutando forme e contesti, resta una realtà che il diritto è chiamato a reprimere con determinazione.
Viviamo in un’epoca in cui, spesso, convivono il desiderio di affrancamento da antichi retaggi e le necessità di sopravvivenza che lo mortificano. Obbligo della società civile attuare uno stretto controllo, per impedire l’insorgere di situazioni, contrarie ad ogni minimo criterio di umanità.


