Nel calendario liturgico di ieri, 4 novembre, la Chiesa ha celebrato San Carlo Borromeo, una delle figure più influenti del cattolicesimo del XVI secolo. Uomo di cultura, pastore instancabile e riformatore coraggioso, Borromeo fu protagonista di una stagione di profonda trasformazione per la Chiesa, segnata dal Concilio di Trento e dalla necessità di rinnovare la vita cristiana dalle fondamenta.
Nato nel 1538 ad Arona, sul Lago Maggiore, Carlo apparteneva alla nobile famiglia Borromeo. Giovanissimo, venne chiamato a Roma dallo zio, papa Pio IV, che lo nominò cardinale e segretario di Stato. Ma dietro il ruolo istituzionale si nascondeva un uomo animato da un ideale alto: servire la Chiesa non con il potere, ma con la dedizione e l’esempio.
Quando fu nominato arcivescovo di Milano, nel 1564, trovò una diocesi segnata da anni di abbandono pastorale. In risposta, avviò una riforma capillare: istituì seminari per la formazione del clero, promosse sinodi e visite pastorali, riportando il Vangelo al centro della vita ecclesiale. La sua attenzione alle necessità spirituali e materiali del popolo lo rese un punto di riferimento anche per i laici.
Il suo spirito di servizio emerse in modo eroico durante la peste del 1576, quando non esitò a restare in città mentre molti fuggivano. Organizzò soccorsi, istituì ospizi e pregò pubblicamente per la fine dell’epidemia, guadagnandosi la riconoscenza dei milanesi.
San Carlo morì nel 1584, a soli 46 anni, ma lasciò una traccia indelebile nella storia della Chiesa e della città di Milano. Canonizzato nel 1610, è ancora oggi ricordato come modello di vescovo riformatore, capace di coniugare rigore e umanità, fede e concretezza.


