Il ‘Leone di Caprera’ la prima barca da diporto a solcare l’Atlantico nel racconto di Orlando Troccoli
| di Maurizio TroccoliOrlandino, tutti lo chiamano così poichè ha fatto della dolcezza il suo portamento, è una memoria storica del Cilento. Tra i pochi ad avere aperto la strada per l’emigrazione in Venezuela, prima della guerra, quando i flussi verso l’Uruguay, il Brasile, l’Argentina, l’Ecuador erano al tramonto. Lui è lì, tra le strade impolverate di Caracas, in cerca di fortuna, in quel sud America accerchiato dalle dittature militari, dove spiaggiavano i tantissimi emigranti dell’Italia del sud, in fuga dalla miseria. Proprio come accadrà a tanti cittadini di Camerota, prevalentemente dopo Orlandino, cioè dopo la seconda grande guerra. Orlandino, noto ai giovani e agli anziani del posto per la sua grazia e per l’amore che lo lega a questo paese del quale si è preso cura allestendo le strade con giardini di fiori che saranno apprezzati per generazioni, è il custode di una storia che ha reso orgogliosa l’Italia. Il suo diretto antenato è quel tale Pietro Troccoli, noto all’Italia degli albori, per avere attraversato, per la prima volta nella storia, l’oceano Atlantico con una barca da diporto, una opera di alta ingegneria navale. Quella imbarcazione fu costruita per portare in onore a Giuseppe Garibaldi una spada d’oro offerta dagli emigranti italiani dell’altra parte dei due mondi. Ma gli autori di questa donazione non vollero alla fine consegnarla nelle mani di Pietro Troccoli e degli altri due marinai Vincenzo Fondacaro (il capitano della spedizione) e Orlando Grassoni, per paura che si inabissasse insieme a loro e insieme a quell’imbarcazione che prese il nome di Leone di Caprera. Ma la barca con a bordo i tre marinai italiani, prese comunque il largo alla volta dell’Italia e dopo ribaltamenti e vicende epiche, raggiunse sia l’Italia che Giuseppe Garibaldi.
Questa storia, come quella dell’emigrazione è nel ricordo vivo di questo uomo che da bambino fu avvicinato dal padre e reso depositario di questa avventura: trasformare la propria vita nel desiderio e nella conseguente sfida di ridare onore a quell’imbarcazione. Avviene dopo che suo padre, anch’egli di nome Pietro, in visita in Italia, volle andare al museo della Scienza e della Tecnica di Milano, per vedere, per la prima volta nella sua vita, quella barca di cui tanto aveva sentito parlare. Ma nei prestigiosi saloni del museo quella barca non c’era. Allora pensò di andare all’esterno dove aveva intravisto, in stato di abbandono, alcune imbarcazioni coperte dai teli. Tra lui e quei relitti c’era una staccionata. Che pensò bene di scavalcare per guadagnarsi sia la storica visione che il fermo da parte della polizia. Ma valse ad avere contezza che l’imbarcazione c’era e andava salvata. Non ce la farà lui. Ecco perchè Orlandino prende il testimone di questa sfida e la porta a compimento. L’imbarcazione sarà prelevata dal cantiere del museo della Scienza e della tecnica di Milano e trasferita, con incredibili sforzi tecnici, a Marina di Camerota, dove nacque e visse quell’antenato di Orlandino, Pietro Troccoli, prima di fuggire verso l’America del sud, dopo una delusione d’amore. Li rimarrà per 15 anni per poi ritornare al museo della Scienza e della tecnica di Milano, dopo un restauro a Livorno. Ma questa storia non finisce qui. Perchè il desiderio di Orlandino non è pienamente compiuto. Ma questo lo spiega lui in questa videointervista.
VIDEO | IL LEONE DI CAPRERA RACCONTATO DA ORLANDO TROCCOLI
VIDEO | ORLANDO TROCCOLI TRA I PRIMI EMIGRANTI IN VENEZUELA DA CAMEROTA
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