Università del Queensland: «In Italia zone protette nel degrado». C’è anche il Cilento

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Università del Queensland: «In Italia zone protette nel degrado». C’è anche il Cilento

Un terzo dei parchi nel mondo sono minacciati dalle attività umane. Dovrebbero conservare la flora e la fauna, e invece sono disboscati, sfruttati da agricoltura intensiva, inquinati dalle miniere, cementificati da centri urbani, asfaltati da strade. Una ricerca della Università australiana del Queensland (pubblicato oggi dalla rivista Science) ha preso in esame 50.000 aree protette nel mondo. «Oltre il 90% di queste mostra qualche segno di attività umane degradanti – spiega il ricercatore che ha guidato lo studio, Kendall Jones -. Sei milioni di chilometri quadrati di territorio all’interno delle zone protette, un’area grande come due terzi della Cina, è in uno stato che rende improbabile la conservazione della biodiversità minacciata o il mantenimento delle funzioni ecologiche necessarie».

La ricerca indica che benché l’estensione di zone protette dichiarate sia quadruplicata nell’ultimo quarto di secolo, molto di quel territorio ha ricevuto poca protezione dagli interventi umani. L’impatto più grave è stato osservato in aree densamente popolate di Europa, Asia e Africa, ma la ricerca indica che vi è stato degrado significativo in tutte le nazioni.

In Italia, secondo lo studio australiano le zone protette degradate sono soprattutto nel Centro-Sud. La mappa indica i parchi dell’Etna, dei Nebrodi e delle Madonie in Sicilia; dell’Aspromonte, della Sila e del Pollino in Calabria; della Val d’Agri in Basilicata; del Cilento e del Vesuvio in Campania; dell’Alta Murgia, del Gargano e di Terra delle Gravine in Puglia. Poi i parchi del Circeo e dei Monti Aurunci in Lazio, il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; i parchi della Majella e del Gran Sasso in Abruzzo; dei Monti Sibillini fra Marche e Umbria. Infine, il parco delle Dolomiti Bellunesi in Veneto e quello dello Stelvio fra Trento e Bolzano.

«Questo studio australiano mi lascia perplesso. Non so come lo abbiano fatto -, commenta Giampiero Sammuri, presidente di Federparchi -. Nei parchi italiani miniere non ce ne sono. La superficie coperta da boschi è in aumento, per l’abbandono dei terreni agricoli. Agricoltura intensiva nei parchi italiani ce n’è ben poca. Strade e linee elettriche sono le stesse da anni, non se ne fanno di nuove. I centri abitati nei parchi tendono a spopolarsi, non a crescere». Per Sammuri «questo studio ha messo sullo stesso piano le attività umane nelle aree protette di America Latina, Africa e Asia (quelle sì devastanti!) e quelle ben più ridotte nei parchi italiani».

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