I siti archeologici del Cilento. Moio della civitella: ma dove è la segnaletica? Parte I

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I siti archeologici del Cilento. Moio della civitella: ma dove è la segnaletica? Parte I

Un nuovo sito archeologico del Cilento da ri-scoprire.

Dopo Sacco e Roscigno (due siti in evidente stato di degrado) e Roccagloriosa tocca ora a Moio della Civitella, sito archeologico fra i più suggestivi del Cilento interno.

L’area si mostra in discreto stato, ma spettacolare appare l’assenza di segnaletica.

§1. Inquadramento geomorfologico

Moio della Civitella, comune che comprende le frazioni di Moio e Pellare, distante circa 5 km da Vallo della Lucania.

Dista da Velia circa 32 km, anche se in tempi antichi la distanza tra i due centri era, probabilmente, minore, essendo l’attuale asse viario decisamente più lungo.

La collina della Civitella (818 m. s.l.m.) vede aprirsi alle sue pendici il valico verso Cannalonga, passo che conduce ad Alburni e Vallo di Diano; l’altro versante domina il corso del Badolato e quindi la viabilità verso Velia.

Entrambe le arterie lambivano, quindi, le falde del colle, controllando, così, agevolmente il commercio verso il mare e contestualmente arginando eventuali pericoli.

§2. Storia della ricerca archeologica

Il sito archeologico della “Civitella” è uno dei pochi, in comprensorio velino, ad essere stato esplorato in maniera estesa dalla Soprintendenza archeologica di Salerno.

L’area interessata dall’insediamento corrisponde alla parte alta dell’omonima collina, sita nel comune di Moio della Civitella.

La scoperta del sito si deve a M. Napoli, che nell’estate del ’66, su segnalazione degli abitanti del luogo, effettuò una prima prospezione identificando i resti di una fortificazione che fu immediatamente messa in relazione con una struttura eretta dai velini a salvaguardia dell’entroterra.

Poco dopo la Soprintendenza alle antichità di Salerno diede il via ad una serie di campagne atte ad esplorare e porre in luce strutture della fortificazione, terrazzamenti e le porte principali aperte nella cinta esterna delle mura.

In particolare è nell’agosto del ’67, con la collaborazione di E. Greco, che furono poste in luce porzioni di un muro in opera quadrata a duplice e triplice cortina, quest’ultima evidenziata nei casi in cui il terreno si dimostrava particolarmente franoso.

La struttura evidenziata risultò essere un poderoso muro dalla duplice funzionalità: muro di cinta e muro di terrazzamento, essendo esso eretto in una parte di colle che, causa estrema ripidità, non temeva insidie.

Dallo scavo sono emersi, inoltre, numerosi frammenti di tegole, fatto plausibile in una fortificazione in cui le sostruzioni sono in muratura mentre gli elevati concretizzati con l’impiego di tegole.

Si tratta di un modo costruttivo già esaminato e presente nella stessa Velia, dove, lungo i bastioni delle mura e nei pressi delle torri, si rinvennero depositi di tegole.

Estate 1968, i lavori vengono articolati su due direttrici:

  • perfezionare lo scavo del muro di terrazzamento;
  • far emergere ciò che poi risulterà essere il tratto meridionale del muro di cinta della cittadella.

L’impianto murario evidenziato in corso di scavo parte dalla sommità del colle (versante sud–occidentale) per proseguire, poi, lungo i fianchi della collina e scendere in basso, direzione est–ovest.

Dalle analisi delle strutture si rileva che sia modulo dei blocchi che tecnica costruttiva sono identiche al muro di terrazzamento ed entrambe prive di grappe e malta.

È questo l’anno della grande scoperta, la porta definita “porta sud” o “dei castagni”, compreso l’arco che, presumibilmente, la ricopriva.

La porta presenta un complesso sistema di difesa ed è costituita da un lungo e stretto corridoio che conduce ad un vano rettangolare il quale, a sua volta, si restringe nel vero ingresso chiuso da porta lignea di cui rimangono i cardini tagliati nella pietra e la traccia del battente, mentre la struttura–arco fu realizzata con i blocchi squadrati tagliati, su un lato in curva, secondo una tecnica costruttiva ben nota in Italia meridionale.

1976: la ricerca archeologica sull’area viene affidata alla direzione di A. Schnapp, dell’Università di Parigi. 

L’esplorazione, che prosegue sino al 1987, è orientata soprattutto al riconoscimento dell’area dell’abitato interno e finalizzata a porre in luce un tratto significativo del tessuto edilizio antico.

Quando parlo di strutture mi riferisco ad elementi da sempre visibili delle quali possediamo una descrizione di estremo interesse risalente alla fine del XIX sec. ad opera di un erudito locale, Mons. Alario, che così le descrive:

mura costruite di pietre lavorate a scalpello e connesse senza cimento, che ancora sussistono. Inoltre la immensa quantità di rottami e di cocci che sono sparsi sul declivo di quel monte e i molti oggetti di metallo e di creta che vi sono rinvenuti e che vi si rinvengono sono un argomento luminoso dell’esistenza della città. I contadini difatti, lavorando, in quella località, vi hanno trovate statuette di Apollo, idoletti di creta, coltelli di pietra focaia, e un gran numero di monete”.

L’area archeologica della “Civitella” quindi esprime con l’impianto delle fortificazioni il suo elemento di maggiore interesse e suggestione.

Un unicum importante esempio di architettura militare.

Un complesso fortificato che interessa l’intera parte sommitale della collina i cui tratti ben conservati presentano anche cinque o sei filari di blocchi alternati a tratti ove appena si riconosce il livello di fondazione.

Mi riferisco a blocchi che presentano tutti un’accurata lavorazione a punta di scalpello, alcuni dei quali recano ancora segni o lettere incise successive alla messa in opera.

Un sistema difensivo completato, quindi, da porte di accesso.

Ne sono state rinvenute cinque.

Ognuna reca uno schema planimetrico diverso che si adatta al diverso contesto strutturale, orografico e funzionale nella quale era inserita; una caratteristica tale da rendere il Fruryon della Civitella uno dei più interessanti esempi di architettura militare del comprensorio.

Per quanto concerne, poi, lo studio del “terrazzo di acropoli”, questo doveva ospitare un complesso di strutture edilizie particolarmente denso ma, al contempo, ordinato e disposto secondo un preciso disegno urbanistico.

Le tracce di tale impianto si leggono nei profondi tagli delle rocce, tratti murari e pavimentazioni da sempre visibili sulla superficie del terreno.

L’esplorazione di questa porzione di spazio urbanizzato ha restituito un tessuto insediativo fitto e diversamente articolato che, pur non essendo completamente studiato, ne conferma il carattere regolare e oculato, disegno urbanistico teso a sfruttare in maniera intelligente e densa lo spazio disponibile: insomma, in vera armonia uomo/ambiente.

Come emerso dai dati elaborati dal Napoli, Moio probabilmente era inserita in un sistema articolato di fortezze, un sistema che si stringeva a semicerchio intorno a Velia seguendo l’orografia del territorio, una ipotesi confutata oltre che dal dato archeologico anche da un passo di Stradone facente menzione della resistenza opposta con successo dai velini a Lucani e Poseidoniati.

CONTINUA

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