L’uomo che (non) guardava passare gli uccelli. Storia di ordinario spreco di fondi europei (Parte 1)

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L’uomo che (non) guardava passare gli uccelli. Storia di ordinario spreco di fondi europei (Parte 1)

Percorrendo in macchina la strada Mingardina, in queste assolate mattinate d’aprile, capita di essere piacevolmente avvolti da quella che Giorgio Gaber, in una bellissima canzone di qualche decennio fa, chiamava “illogica allegria”. Il tepore primaverile, il fiume che scorre sonnacchioso, la strada diritta, lo spettacolo offerto dalle pareti rocciose che cadono a strapiombo sul lungo fiume. Tutto contribuisce a creare una situazione di benessere gratuita e tutto sommato inaspettata. “A volte spengo anche la radio”, diceva il Signor G. “Mi può bastare un niente, forse un piccolo bagliore, un’area già vissuta, un paesaggio.. che ne so. E sto bene, come uno che si sogna. Non lo so se mi conviene, ma sto bene, che vergogna. Io sto bene, proprio ora, proprio qui”.

Poi, però, capita di alzare lo sguardo e di imbattersi in una strana “cosa” che si erge solinga e minacciosa alla sommità di una delle bellissime alture laterali; è una costruzione giallina e marrone, smussata, priva di angoli. Ha tutta l’aria di essere una palazzina-residence circolare. Tutt’intorno il nulla. Cioè il tutto della natura. Appena i sensi percepiscono “la cosa”, lo stato di illogica allegria comincia a sgretolarsi sotto gli istantanei colpi sferrati inesorabilmente dal senso estetico di base, da quella ricerca minima di armonia del quale è dotato qualsiasi sguardo umano. Subito dopo subentra l’automatica analisi razionale. E cominciano i problemi. La sensazione di immotivato benessere evapora velocemente, diventa uno sfocato ricordo. Ma cos’è quella cosa? Ma a che serve? Ma lo affittano? Ma ci abitano gli alieni? Ma ci hanno nascosto Marylin Monroe, Elvis e Hitler? Ma è commestibile? Ma ci va in vacanza Dio? Ma Dio esiste?.. Le domande, sacre e profane, cominciano a tendere all’infinito. Il dissesto emotivo è progressivo, si rischiano crisi epilettiche, oltre che mistiche.

Fino a quando si viene a sapere che lì sopra c’è un “Centro Internazionale per lo Studio delle Migrazioni”. Che detto così fa pensare ad un progetto scientifico di nicchia, sui generis, ma interessante e di rilevanza europea. Oppure, si potrebbe ipotizzare un errore di battitura nella trascrizione della denominazione del Centro e, di conseguenza, si potrebbe rimediare aggiungendo una “E” davanti alla parola “migrazioni”, in modo da utilizzarlo per osservare dall’alto la fuga dei giovani verso le città e il proprio futuro, per “studiare” l’emorraggia sociale che sta spopolando il Cilento. E intanto godersi l’aria buona dei 385 metri sul livello del mare di località Chiancone, la zona del comune di Centola dove si trova la struttura.

La costruzione di questo osservatorio delle migrazioni era “solo il secondo lotto del progetto battezzato “I Miti” – redatto e coordinato dai tecnici del Comune diCentola con l’appoggio del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, e della Comunità Montana Lambro e Mingardo e che ha come tema la realizzazione di un circuito sentieristico, in fase di completamento, per mezzo del quale i numerosi ed intraprendenti studiosi e visitatori raggiungeranno i locali dell’Osservatorio, nonché un antico casale ed un voliere per il ricovero degli animali sulle pendici del rilievo collinare centolese”, si poteva leggere con speranza in un articolo dell’aprile del 2004, pubblicato da un settimanale locale, allorchè l’inizio dei lavori di realizzazione del progetto era imminente. “Il primo mattone dell’edificio sarà sistemato a giorni”, informava il pezzo.

Ma in cosa consisteva il progetto? Quali erano gli ambiziosi scenari che si intravedevano all’orizzonte? Eccoli, narrati con precisione ed entusiasmo poco lungimirante da “Il Val Calore”. “Posto in prossimità del fiume Mingardo e a ridosso dell’incantevole visuale di Capo Palinuro, l’osservatorio permetterà di intercettare i flussi migratori di quelle specie volatili che percorrono le cosiddette rotte primarie frequentando le linee costiere ed i valichi montani del parco. Grazie alla variegata morfologia ambientale del territorio cilentano, l’osservatorio di Centola diverrà un vero e proprio laboratorio d’analisi del fenomeno migratorio nel Tirreno Meridionale.
Il progetto prevede la realizzazione di una struttura capace di esercitare una duplice funzione. In primo luogo, permetterà il monitoraggio del traffico migratorio in tutto il territorio del parco, attraverso l’impiego delle più innovative tecnologie di ricerca in campo zoologico. Darà alloggio ad esperti impegnati in studi sulle migrazioni da diverse parti del mondo ed offrirà supporto alle attività del Centro Studi e Ricerche del Parco, nonché dell’osservatorio della biodiversità del Mediterraneo. In secondo luogo, sotto l’aspetto didattico, potrà accogliere scolaresche e gruppi di visitatori a cui potranno essere illustrate le modalità di ricerca, e far scoprire il fenomeno della migrazione ed il ruolo del cangiante territorio del Parco nel Mediterraneo.” E dunque “rappresenterà uno dei punti di estremo valore scientifico ed educativo del Parco”.

Poi la chiusura del pezzo, che letta oggi sembra una gufata ben riuscita o, comunque, una sarcastica critica a quanto è poi accaduto: “Ancora una volta emerge da parte degli enti locali e da quanti si impegnano a loro sostegno, la volontà di mettere in salute il Parco del Cilento che, dall’alto dei suoi quasi 181mila ettari di estensione, rappresenta un forziere di ricchezze dall’inestimabile valore ambientale, tali da renderlo punto d’incontro per quanti si immergono nel singolare e spettacolare mondo delle scienze naturali”.
“Appunto”, direbbe una signora esigente di nome Realtà.

Interessante e significativo è consultare il bando di gara per l’assegnazione dell’appalto relativo ai lavori di realizzazione del Centro Studi, pubblicato il 12 gennaio del 2004 sul Burc, il Bollettino Ufficiale Regione Campania. L’importo complessivo sfiora i 950 mila euro. La struttura prevista è “su 3 livelli”, il progetto “è stato realizzato tenendo presente l’estrema bellezza della zona oggetto dell’intervento, sia punto di vista paesaggistico-ambientale e naturalistico e per tale motivo è previsto l’impiego di materiali naturali nel pieno rispetto dell’ambiente in cui è collocata l’opera.
L’edificio si adagia sul pendio naturale, fino a raggiungere quota 395 m. Le strutture portanti saranno realizzate in cemento armato con rivestimento in pietra calcarea, la copertura dell’edificio sarà realizzata con struttura in legno lamellare.
Per il trasporto di tutti i materiali occorrenti alla realizzazione dell’opera, dalla strada pubblica posta a valle dell’intervento, sino al sito dove sorgerà l’osservatorio è prevista, in considerazione del particolare pregio ambientale dell’area, la realizzazione di un impianto a fune”.

Sensibilità ambientale e impiego di tecnologie e materiali idonei a preservare i luoghi, dunque. Per la concretizzazione di un progetto ambizioso e complesso, di ricerca scientifica e attività didattiche sostenibili. E finanziato dalla Regione, nello specifico dal famoso P.O.R., il Programma Operativo Regionale. Quello che smista i fondi strutturali dell’Unione Europea.

Peccato che, stando all’attuale evidenza dei fatti, non sia andata proprio così. [continua…]

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