9 Novembre 2025

Pesca ferma nel Tirreno: lo stop di novembre costa fino a 26 milioni di euro

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Pesca ferma nel Tirreno: lo stop di novembre costa fino a 26 milioni di euro

Il nuovo stop di un mese alla pesca nel Tirreno rischia di costare al settore tra 25 e 26 milioni di euro, senza contare le perdite dell’indotto.

Dopo la sospensione di ottobre, i pescherecci di Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna restano fermi anche fino al 30 novembre, in seguito alla decisione del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste (Masaf) di introdurre un ulteriore fermo di 30 giorni.

La misura, voluta per compensare lo sforamento dei giorni di attività autorizzati e per evitare una chiusura totale fino a fine anno, inizialmente proposta dalla Commissione Europea, ha però un costo salato. Secondo le stime di Confcooperative Fedagripesca, il blocco aggiuntivo potrebbe bruciare tra i 25 e i 26 milioni di euro, escluso l’indotto.

Il valore economico della pesca nel Tirreno

Il comparto ittico tirrenico vale complessivamente tra i 160 e i 230 milioni di euro l’anno, con forti differenze territoriali. La Sicilia è la regione più colpita: detiene il 32% della flotta di strascico nazionale e quasi la metà (46%) di quella tirrenica. Seguono la Toscana, principale polo del Tirreno centro-settentrionale, con il 15% della flotta e il 22% di quella tirrenica, e l’asse Campania-Lazio, che rappresenta un altro quarto del totale.

In particolare, la Campania pesa quasi il doppio del Lazio, un dato che riflette l’importanza del settore nei porti di Salerno e Napoli, dove la pesca non è solo un’attività economica ma un elemento identitario del territorio.

Obiettivo: salvare il nasello

Alla base del provvedimento c’è la necessità di proteggere il nasello, specie considerata in sovrasfruttamento dall’Unione Europea nel bacino tirrenico. Il nasello è tra i pesci più amati dagli italiani: secondo un sondaggio Fedagripesca, sette italiani su otto lo consumano con regolarità.

«Il lungo negoziato con Bruxelles ha evitato misure insostenibili – sottolineano da Fedagripesca – ma ha imposto nuove rinunce anche alla pesca artigianale e ai palangari.»

L’appello a Bruxelles

Le cooperative chiedono ora all’Europa un maggiore equilibrio tra sostenibilità ambientale e sopravvivenza economica del settore. L’associazione sollecita una revisione del Regolamento Feampa (Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura), per includere anche le domande di demolizione ancora pendenti e garantire strumenti di sostegno immediati alle cooperative e agli armatori.

«Due mesi senza reddito non sono sostenibili – avverte Fedagripesca – servono aiuti per chi gestisce mercati ittici e servizi di filiera, oltre a misure dedicate ai mestieri diversi dallo strascico, chiamati a condividere gli oneri della sostenibilità.»

Una crisi che tocca l’intero indotto

Oltre alle perdite dirette per gli equipaggi e le cooperative, lo stop rischia di travolgere tutto l’indotto: dai mercati ittici ai fornitori di carburante e manutenzione, fino alla ristorazione costiera. Un effetto domino che, se non accompagnato da sostegni rapidi, potrebbe lasciare il settore più povero e il mare più vuoto.

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