L’avvocato Simone Labonia ci illustra i dettami del codice penale che puniscono l’illecita ricezione della pensione, pur dopo il decesso di chi ne è titolare, come narrato in recenti fatti di cronaca.
La ricezione della pensione dopo la morte del titolare rappresenta un fenomeno diffuso nell’ambito delle indebite prestazioni previdenziali.
Spesso non si tratta di sofisticate frodi, ma di comportamenti apparentemente “banali”, come continuare a utilizzare un conto cointestato o non comunicare tempestivamente il decesso. Tuttavia, sul piano giuridico, le conseguenze penali possono essere particolarmente rilevanti.
Il prime problematiche riguardano la condotta omissiva: la legge impone agli eredi o ai conviventi l’obbligo di comunicare all’INPS la morte del pensionato. L’omissione, se finalizzata a continuare a percepire la pensione, può integrare il reato di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.). Si tratta della fattispecie più comune, configurabile anche quando il beneficiario non compie artifici o raggiri, ma semplicemente lascia che il pagamento continui. La pena è relativamente contenuta, ma sufficiente a far scattare procedimenti penali e soprattutto l’obbligo restitutorio.
Quando invece intervengono comportamenti attivi volti a nascondere il decesso, ad esempio presentare falsi certificati, utilizzare strumenti di autenticazione del defunto o firmare in sua vece, può configurarsi il più grave reato di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640, comma 2, n. 1 c.p.). Qui la rilevanza penale è ben più intensa, perché la condotta richiede artifici o raggiri, con pene che possono superare i tre anni di reclusione.
Come accennato, la prosecuzione dell’erogazione può avvenire tramite accredito su un conto cointestato. Anche in questo scenario la giurisprudenza tende a escludere automatismi: il mero prelievo non integra di per sé un reato, ma lo diventa se si è consapevoli dell’indebita corresponsione. Resta comunque configurabile il reato di appropriazione indebita (art. 646 c.p.) ogni volta che si dispone di somme non spettanti.
Non va escluso neppure il profilo della falsità documentale (artt. 482 e 485 c.p.) qualora vengano sottoscritti o predisposti documenti attribuiti falsamente al defunto, nonché la possibile responsabilità per uso indebito di strumenti di pagamento intestati al pensionato.
Infine, nei casi più gravi, la Procura può ipotizzare anche il riciclaggio o l’autoriciclaggio quando le somme percepite vengano reimpiegate in operazioni volte a ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita, sebbene ciò accada solo in contesti strutturati.
La casistica mostra come la ricezione della pensione dopo il decesso non sia, quasi mai, un “semplice errore”, ma un comportamento che il diritto penale sanziona con decisione, variando la fattispecie in base alla condotta concreta: dall’omissione all’inganno, dalla mera disponibilità di somme non dovute fino a complessi sistemi fraudolenti.


