Ascea, Palazzo De Dominicis ospita ‘Teste mozze’. Niola: «Il Noi credevamo della letteratura»

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Ascea, Palazzo De Dominicis ospita ‘Teste mozze’. Niola: «Il Noi credevamo della letteratura»

Sabato 20 agosto alle 21:30 nel suggestivo Palazzo De Dominicis, il Comune di Ascea ospita la presentazione del libro ‘Teste mozze’ dell’avvocato Franco Maldonato. Con l’autore saranno presenti lo storico Giuseppe Palladino, lo psichiatra e antropologo Luigi Leuzzi, e per i saluti Vincenzo Pizza. Continua anche d’estate il lungo tour di presentazioni del romanzo storico che mette in primo piano i fatti del 1848 raccontati ripercorrendo la vicenda umana e politica di Costabile Carducci. L’ultimo appuntamento si è tenuto a Castellabate nel corso della Fiera del libro. Alla «vetrina dell’editoria del sud» lo scrittore ha raccontato il suo libro insieme a Marino Niola, noto antropologo e saggista, dell’università Suor Orsola Benincasa. Pubblichiamo integralmente la sua recensione


‘Teste mozze’ è un romanzo storico, avvincente dalla prima fino all’ultima pagina, dove il rigore dello storico si coniuga con la prosa del narratore.

E’ una antistoria dell’antistoria. È quel che il mio maestro, Claude Lévi-Strauss avrebbe definito un’antistoria, un segmento di storia che può essere pensato e raccontato altrimenti da come viene di solito costruita la narrazione della vicenda dell’Italia preunitaria. Da una parte e dall’altra. Di solito una vulgata di pensiero molto in voga rappresenta la tradizione storiografica sul processo unitario come di parte, e tende a rivalutare la versione borbonica. Al punto da alimentare una doxa neoborbonica, nostalgica: ho sentito fare le lodi di Fabrizio Ruffo come braccio armato del pensiero meridiano. Maldonato va al di là di queste contrapposizioni ideologiche e si cala nella storia per fare affiorare altre ragioni.

Dunque, un romanzo storico che rivisita la vicenda umana e politica di Costabile Carducci, vista in filigrana attraverso  sua moglie Vittoria, una delle più belle figure dei moti del 1848, uno dei protagonisti del Risorgimento meridionale, carbonaro e patriota antiborbonico, assassinato su mandato di don Vincenzo Peluso, prete sanfedista, amico  di Re Ferdinando e della Corte. Evidentemente una giustizia divina esiste visto che Peluso, colpito da idropisia, morì quattro anni dopo l’uccisione di Carducci, tra atroci sofferenze.

Su uno sfondo fattuale reale si innesta la fictio narrativa, dove però fictio non vuol dire semplicemente finzione o menzogna, ma semplicemente quello che la parola significa in latino, ovvero rappresentazione. E in quel caso la vicenda si finge attraverso i dialoghi: romanzati sono, infatti, solo i dialoghi tra Costabile e sua moglie Vittoria Del Re. Non è la forma a fare la verità della storia, in questo senso un buon dialogo vale più di un serioso monologo apparentemente oggettivo.

Maldonato rende omaggio alla storia del Cilento che si lega a quella dell’Italia: proprio come il film di Mario Martone, il suo libro è il Noi credevamo della letteratura.

La vicenda narrata? Parte dal luglio del 1851, quando un uomo politico inglese decide di interrogare il ministro degli Esteri della Regina Vittoria sulla scomparsa di un deputato del Regno delle Due Sicilie. I sospetti si concentrano su un prete di Sapri, che aveva già servito gli interessi di Casa Borbone. L’ambasciatore del governo napoletano a Londra, messo a parte della iniziativa del parlamentare inglese, cerca di bloccare la discussione dell’interpellanza, mettendo in moto una macchina del fango e, quando questa si inceppa, tirando per la giacca autorevolissimi uomini politici come Benjamin Disraeli, conte di Beaconsfield e primo ministro britannico per due volte tra il 1868 e io 1880. O di giornalisti indipendenti ma in realtà araldi degli interessi di Ferdinando II di Borbone. L’affaire rivela così un “giallo”,che si dipana in una sequenza di fatti e di antefatti incrociando gli accadimenti del Risorgimento Europeo ed i suoi principali protagonisti: Klemens von Metternich eminenza grigia del congresso di Vienna,  Italia espressione geografica, Henry John Temple, III visconte di Palmerston, primo ministro inglese dal 1859 al 1865, in una staffetta con Disraeli, Mazzini, Garibaldi e Cavour.  Fino al sorprendente colpo di scena finale. Che mi guarderò bene dal raccontare.

Ma il libro è attraversato da un gioco di destini incrociati, di cui spesso conosciamo solo i nomi delle strade che li commemorano. Michele Palieri, giudice regio del circondario di Vibonati, Gaetano Pinto stessa carica nel circondario di Maratea, Pasquale Scura, procuratore generale di Potenza, caduto in disgrazia presso i Borboni e in seguito nominato da Garibaldi Ministro di giustizia, Silvio Spaventa, Luigi Settembrini, Carlo Poerio, Guglielmo Pepe Dall’altra parte gli sgherri della restaurazione figure note come del Francesco Saverio del Carretto distruttore di Bosco, che fa spargere sale sale sulle rovine fumanti, come Scipione Emiliano a Cartagine e poi ministro di polizia di Ferdinando,

Val la pena di ascoltare direttamente le parole di Luigi Settembrini che (Ricordanze della mia vita, cap. IV) riepiloga l’irresistibile ascesa dell’odioso ministro:

«Prima in Bosco, poi in altri paeselli vicini fu gridato “Costituzione” […] Tosto re Francesco mandò a furia con ordini severissimi il brigadiere Del Carretto a capo di alcune centinaia di gendarmi. Costui distrusse a colpi di cannone il villaggio di Bosco già deserto d’abitanti; ed incarcerati quanti gli capitavano rei o sospetti, li fe’ giudicare da una commissione militare da lui stesso nominata, la quale ne condannò a morte ventidue, e una sessantina a la galera: ottanta ne furono carcerati in Napoli come complici, e sette condannati nel capo. Per questo servigio il Del Carretto ebbe titolo di marchese, grado di maresciallo, e fu tenuto in petto per cose maggiori. »

Un altro dei personaggi sinistri che attraversano il libro è il  generale Nunziante, repressore feroce dei moti calabresi del 1847 conclusi con l’esibizione di una testa mozza eccellente, quella di Domenico Romeo. Ma anche figure meno note come quei sacerdoti che scrivono catechismi in cui si sostiene che la monarchia è un’istituzione di origine divina e la costituzione un’invenzione del demonio. E sostiene il diritto regio di mandare a morte i patrioti, eredi di templari, frammassoni, giacobini, carbonari e mazziniani.

Insomma una lettura che rimette le cose a posto, fa giustizia dell’opposizione Borboni buoni/Piemontesi cattivi, Meridione felix/Nord rapace, e soprattutto colloca il senso di questa vicenda locale in un contesto che oggi chiameremmo globale, dove le conseguenze e le ricadute dei singoli fatti vengono definite e ridefinite dal posto che occupano in una rete di spinte e controspinte politiche, trattati, alleanze, insomma in una trama diplomatica che alla fine si rivela come il decisivo fattore di verità degli accadimenti storici. Merito di Franco Maldonato è di non aver ulteriormente localizzato questo episodio italiano – una forma di semplificazione che oggi seduce molti storici e politologi – ma di averne ricostruito l’orditura, mettendone in rilievo la dimensione europea e , dunque, quella complessità che la rende ancora oggi una questione aperta. Una sollecitazione a pensare chi siamo.

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