E’ morto Giuseppe Spagnuolo, l’ultimo abitante di un paese «fantasma» del Parco del Cilento

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E’ morto Giuseppe Spagnuolo, l’ultimo abitante di un paese «fantasma» del Parco del Cilento

All’alba mite d’una mattina di gennaio, Roscigno Vecchia resta sola. Giuseppe Spagnuolo, ultimo abitante del paese «fantasma», non c’è più. Si è spento improvvisamente dopo alcuni giorni di ricovero in seguito ad alcune complicanze legate a un’emorragia. Giuseppe era il custode di Roscigno, borgo che sorge sulle pendici del Monte Pruno, definita anche la ‘Pompei del 900’, un paese in constante movimento, nel 1902 e nel 1908, infatti, in seguito a due leggi speciali in favore dei paesi franosi, si iniziò lo sgombero del paese. Il borgo antico, però, è rimasto avvolto in un’atmosfera magica, solo in apparenza inanimato. Le case, i luoghi di culto, le antiche botteghe, sono rimaste al loro posto. E Giuseppe era l’anima, il guardiano, il ‘sindaco’, la guida e l’unico abitante.

Quell’uomo che sembrava Babbo Natale, aveva nulla e tutto. Il paese era interamente nelle sue mani. Apriva lui tutte le porte e tutti i balconi di tutte le case. Si prendeva cura delle piante, degli animali, della fontana. Accoglieva i turisti e si metteva in posa per farsi fotografare, poi però, quando qualcuno lo salutava, era solito esclamare: «Non farmi venire fino a casa tua, portami le foto che le metto qui». 

Nel 2001 è morta Dorina, l’ultima abitante di Roscigno Vecchia. Lui, che lavorava come muratore, si era impossessato di una casa. Faceva entrare chiunque nel suo nido. Bisognava salire qualche scalino prima di raggiungere un portone in legno e ferro battuto. Peppe, la sua cravatta e lo scricchiolio della porta, ti accoglievano inoltrandoti al salotto. Adesso è rimasta la legna consumata tra due sedie impagliate di fronte al camino. La dispensa è sul baule che fa da tavolo. Qui il tempo si è fermato. Ci sono due pentole, una forchetta, un coltello e un cucchiaio. Una madonnina d’acqua santa, un barattolo di vetro con delle pesche e del vino rosso. Dietro la porta alcuni abiti appesi. Sui fornelli nulla. Centinaia di peperoncini ad essiccare fanno da cornice ad un provolone. Scatolette di alici, tonno sott’olio, melanzane sott’olio e vino. Vino ovunque. 

Peppe diceva sempre: «Vino e peperoncini, poi basta un paio di scarpe e non muori più». Dormiva su di un letto di cartoni. Nel salotto, resta un tavolo al centro, ricoperto di articoli di giornale che parlano di lui. Sulle pareti vecchie e ammuffite decine di primi piani che lo ritraggono. Una libreria, una vecchia valigia e un balcone con vista sulla fontana e sull’ingresso del paese. 

Giuseppe si definiva un «libero e abusivo» in un paese che cammina. Adesso, invece, resterà sempre libero ma un po’ meno abusivo alle porte del paradiso, tra le nuvole e i ricordi di chi almeno una volta ha incrociato il suo sguardo dolce e i suoi occhi che raccontavano mille storie.

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