Degrado nei siti archeologici del Cilento. Il Parco archeologico “sommerso” di Roscigno: tra dirupi, rovi e sterpaglie qui la natura tragicamente impera (parte III)

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Degrado nei siti archeologici del Cilento. Il Parco archeologico “sommerso” di Roscigno: tra dirupi, rovi e sterpaglie qui la natura tragicamente impera (parte III)

Prosegue la nostra inchiesta sul grave stato di degrado in cui versano i siti archeologici del Cilento.

Dopo Sacco siamo ora giunti a Roscigno e più precisamente nel Parco archeologico di Monte Pruno dove più che la storia regnano l’incuria e il degrado.

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§ 4. Le ambre di Roscigno

Le ambre recuperate a Roscigno raffigurano nella maggior parte testine femminili. Queste sono tutte caratterizzate da grandi occhi amigdaloidi segnati da profonde linee incise. Il capo è sormontato da un copricapo conico, in molti casi l’irregolarità dei tratti è dovuta al fatto che l’artigiano si è adeguato alla forma naturale del pezzo d’ambra.

I ritrovamenti di Roscigno comprendono tre pendagli con testa di Sileno ed un frammento lavorato a forma d’ala che potrebbe appartenere ad una figura alata di sfinge.

L’area di distribuzione delle ambre tipo Roscigno si sviluppa tra Campania e Lucania occidentale, con un arco cronologico compreso tra i primi decenni del V sec. e la prima metà del IV sec. a.C.

I reperti trovano confronti in alcuni esemplari dell’Italia centrale e in numerosi altri provenienti da Paestum rinvenuti in sepolture datate IV sec. a.C.

Ma è dalle necropoli di Sala Consilina, Padula, Roscigno che provengono le più importanti attestazioni tali da collocare la produzione nell’area interna che gravita intorno al Vallo di Diano.

La presenza di esemplari di questo tipo a Paestum nei corredi funerari degli inizi del IV sec. a.C., quando oramai la città greca è interessata dall’occupazione lucana, è la riprova di una circolazione dall’interno verso la costa. I manufatti d’ambra qualificano quindi i corredi delle popolazioni indigene che, pur recependo e rielaborando costumi ellenici, mantengono stretti legami con le loro tradizioni.

§ 5. La tomba principesca

La relazione che il Marzullo inviò al Maiuri nel 1938 descrisse perfettamente modalità di rinvenimento e caratteristiche del deposito funerario.

La fossa tagliata nel bancone naturale presentava un grande tumulo.

Il defunto appariva deposto in posizione supina probabilmente in cassa lignea come sembra suggerire la presenza di numerosi chiodi di ferro.

Numerosi erano gli oggetti di corredo disposti lungo i fianchi ed i piedi e consistevano in resti di un carro e, all’altezza della spalla sinistra, una corona d’argento che doveva cingerne il capo.

La sua dislocazione, l’orientamento e la stessa maniera di segnare il tumulo all’interno stesso della fossa, evidenziavano come la sepoltura non fosse isolata ma inserita in un’area di sepolture emergenti più antiche.

Nuova è, invece, la tipologia di rituale funerario che vede il defunto deposto supino con il corredo che ne distingue l’identità, connotandolo come capo guerriero, ruolo enfatizzato dalla presenza del carro e della punta di lancia ma soprattutto da tre strigili in bronzo, attrezzi legati alle pratiche atletiche che nel mondo greco scandiscono la preparazione alla guerra dei giovani principi.

La ricchezza del defunto si evidenziava poi dalla corona d’argento e dallo splendido Kantharos acquistato in qualche bottega di area tarantina. Da botteghe apule provengono anche altri oggetti come il bacino ad anse fuse, un boccale anch’esso di bronzo, mentre da botteghe pestane proviene la maggior parte del vasellame ceramico fatta eccezione per due elementi provenienti da botteghe attiche ed acquistati, forse, su mercato tarantino.

Il complesso sistema di segni che, decodificati, rappresentano tutta l’identità culturale del principe guerriero di Roscigno, ne sottolineano da un lato la profonda adesione a costumanze e pratiche del mondo greco, dall’altro il suo essere capo di una compagine indigena che, sul finire del V sec. a.C., si organizza e si struttura nell’entroterra del territorio pestano occupando punti strategici per la viabilità ed i traffici che avevano determinato, già almeno un secolo prima, la nascita ed il fiorire del centro indigeno di Monte Pruno.

CONTINUA

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