Degrado nei siti archeologici del Cilento. Il Parco archeologico “sommerso” di Roscigno: tra dirupi, rovi e sterpaglie qui la natura tragicamente impera (parte IV)

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Degrado nei siti archeologici del Cilento. Il Parco archeologico “sommerso” di Roscigno: tra dirupi, rovi e sterpaglie qui la natura tragicamente impera (parte IV)

Quarta e ultima parte della nostra inchiesta sul grave stato di degrado in cui versano i siti archeologici del Cilento.

Dopo Sacco siamo ora giunti a Roscigno e più precisamente nel Parco archeologico di Monte Pruno dove più che la storia regnano l’incuria e il degrado.

Continua da Degrado nei siti archeologici del Cilento. Il Parco archeologico “sommerso” di Roscigno: tra dirupi, rovi e sterpaglie qui la natura tragicamente impera (parte III)

§ 6. Stato del sito

Segnaletica quasi inesistente; solo una buona conoscenza del comprensorio può condurre l’impavido turista al pianoro vista anche l’inesistenza di una sentieristica degna di questo nome e la decisa pericolosità del tratto (per raggiungere il sito sono rovinosamente finita al suolo per ben due volte).

Dopo un breve tragitto in auto eccomi innanzi ad uno scarno cartello che indica l’ingresso al “sentiero” che condurrà all’area archeologica.

Ad esser sinceri l’inizio prometteva bene, sembrava un sentiero più agevole rispetto a quelli precedentemente percorsi, ma mi sbagliavo: rovi, dirupi, sterpaglia inestricabile, la seria possibilità di incontrare qualche simpatico serpentello la fanno da padrone.

All’incuria dell’area, poi, si aggiungevano i gravi danni causati dalle intense piogge dei mesi scorsi che hanno ulteriormente aggravato una situazione già di per sé critica, rendendo praticamente impossibile l’accesso al sito.

Lungo il “sentiero” ho rinvenuto molto materiale ceramico dilavato, trascinato verso valle dalla furia incontrollata dell’acqua, ma ciò che realmente mi ha sconvolta è l’aver scoperto e toccato con mano una sepoltura depredata.

Si tratta, da quanto ho appreso, di una sepoltura ben conosciuta dalla Soprintendenza che, però, si è ben guardata dal metterla in sicurezza.

Sul luogo ho rinvenuto evidenti tracce di materiale vascolare unito a diversi reperti ossei, forse equini, testimoni di un recupero illegale. Parliamo di materiali forse essenziali per una ulteriore conoscenza del popolo che abitò Monte Pruno e la gravità di tali accadimenti ci documenta ulteriormente sullo stato di profondo abbandono nel quale versano i siti archeologici del Cilento.

Ho parlato a lungo con i “roscignuoli” i quali, con estrema chiarezza e sincerità, lamentano una situazione di incuria dell’area che si protrae oramai da decenni pregiudicando non solo l’area archeologica di Monte Pruno ma la stessa economia del paese che vivendo anche di turismo vede oramai sfumare giorno dopo giorno una seria possibilità di crescita.

Ma ritorniamo al sito: dopo una buona mezzora di cammino finalmente raggiungo il pianoro.

Qui la bellezza del luogo attutisce ogni mia fatica lasciandomi senza fiato: stessa sensazione ho provato per lo stato in cui versa il sito, ma in tono decisamente negativo.

L’intera struttura difensiva è coperta, anzi, soffocata da una vegetazione che in maniera invadente, intrusiva si è insinuata nelle mura lasciando solo intuire il loro antico tracciato, un tempo imponente e grandioso, oggi, invece, simbolo della più totale noncuranza per tutto ciò che è passato, il nostro passato, la nostra storia.

Sepolture e strutture abitative sono ora un vago ricordo. 

Si parla tanto di parco archeologico di Monte Pruno ma la realtà è che la denominazione esatta dovrebbe essere “Parco archeologico sommerso di Monte Pruno”.

Sommerso dalla noncuranza di chi non ha compreso o forse non vuole comprendere che siamo ciò che eravamo e saremo ciò che siamo.

E non è una felice prospettiva.

 

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