La regola del melo e della mela, del pero e della pera e l’eccezione del fico… al femminile

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La regola del melo e della mela, del pero e della pera e l’eccezione del fico… al femminile

di Orazio Ruocco

Il ciliegio… la ciliegia, il susino… la susina. E potrei continuare così, non so … il mandorlo, la mandorla, il pesco, la pesca, il melo, la mela, o ancora, l”arancio, l’arancia, il pero, la pera. La regola grammaticale è chiara, non dà adito a dubbi di sorta: l’albero della frutta va al maschile, mentre la frutta va al femminile. E sin qui tutto chiaro. Nulla quaestio! Ci sono delle eccezioni, però. Vero, d’accordo. E passi anche per l’eccezione che conferma la regola. Eccezioni che contravvengono alla regola, del resto, ce ne sono tante. Ma certe volte, credetemi, la grammatica non la capisco proprio, non so darmi un perché, non riesco a capacitarmi.

Per restare nel tema faccio l’esempio che da spunto a queste mie bizzarre elucubrazioni. L’albero del fico si chiama “fico”, al maschile, giusto? Bene! Come si chiama la frutta prodotta dal fico? Risposta: il fico! Sì signori, il fico, il fico! E al plurale? I fichi. Però la regola dice tutt’altro. Eh, eh, eh ! E allora il prodotto dell’albero di fico si deve chiamare la … Ma! Ma! Un momento! Ora ho capito. Aaahhh, hai capito i puritani benpensanti. Aaahhh, la fica, la fica, già … la fica. Eh, la fica, come dire … la fica non è delizia del palato. Ma dai, lo sanno tutti che si gusta in tutt’altro modo, perdinci, per Bacco baccone! Immaginate lo sconcerto, o l’ilarità, suscitata da espressioni del tipo:

“Deliziosa la fica che mi hai dato ieri sera!”, oppure:”Passami la fica!”. Mi è venuto un sospetto allora. Non sarà intervenuto qualcuno dall’ “alto” ad invocare filologi e linguisti perché introducessero questa “eccezionale” eccezione? (Scusate il bisticcio di parole, ma l’eccezione è talmente eccezionale che, eccezionalmente … Oddio, forse sto perdendo il filo, ma quella “cosa”, giuro, non c’entra niente!).

Ed allora andiamo un po’ indietro, all’origine, abbeveriamoci alla fonte. Facciamo un breve viaggio a ritroso. Forse ne scopriremo le reali motivazioni. Etimologicamente la parola “fico” richiama il latino “ficus”, che ha il corrispondente greco in “sykon”, simile nel suono, ma non identica nella stesura. Sì, però, che c’entra questo con la … pardon! con il frutto del fico?

C’entra, c’entra … L’allusione alle “pudenda muliebria” (genitali femminili) è antichissima, almeno quanto la commedia di Aristofane “La Pace”, commedia messa in scena nel 421 a.C., per celebrare la pace stipulata tra Atene e Sparta durante la guerra del Peloponneso. In questa bella rappresentazione teatrale, infatti, Aristofane senza pudore, anzi potremmo dire in modo spudoratamente osceno e sfacciato, fa un chiaro riferimento al sesso femminile, utilizzando appunto, al verso 1350, la parola “sykon”. È probabile che certe piccanti allusioni, già allora, facessero presa sul pubblico. Pensa te, già 2.500 anni fa i Greci si intendevano di “fica”. E nemmeno la filosofia ne è rimasta estranea.

Il termine, infatti, è annotato per il significato di attributo genitale femminile anche dall’esimio Aristotele (350 A. C.). Come si vede, nulla di nuovo sotto il cielo. Se ne guarda bene dal proferirla, invece, il sublime poeta Dante nell’Inferno della sua Divina Commedia:

“Rispuose adunque: «I’ son frate Alberigo;
i’ son quel da le frutta del mal orto,
che qui riprendo dattero per figo».
(Canto XXXIII -Versi 118/120).

Né poteva essere altrimenti per il sommo vate, che, con fedele armonia stilnovista, così descrive i tratti angelici della propria donna: “Tanto gentile e tanto onesta pare la donna mia quand’ella altrui saluta …”

Ma noi “linguisti” sfrontati, impertinenti, e “terra terra” del ventesimo e ventunesimo secolo, abbiamo fatto di più, abbiamo dato spazio e sfogo alla nostra fertile fantasia, per coniare nuovi termini o per dilatarne il significato. Ad esempio in italiano, per metonìmia, il termine “fica” (o figa) è passato ad indicare una donna avvenente, e, per analogia (figo), un uomo avvenente. Ma ne sono poi derivati alcuni davvero nuovi ed estrosi, per esempio i diminutivi “fighetta” e “fighetto”, l’aggettivo “figoso”, e la parola “figata”, per indicare una cosa riuscita, di successo, a cui fa da controaltare la “sfiga” (sfortuna, iella), dove la “s” iniziale, con funzione privativa, sta a evidenziarne … la rovinosa mancanza!

Ma, nonostante tutta questa disquisizione filologica (scusate l’ardire …), sia ben chiaro che la grammatica non ammette deroghe, e quindi, il frutto del fico sarà sempre e solo … il “transessuale” fico! Chi voglia conservarne l’originale accezione di frutta al femminile, senza scadere nell’osceno, potrà utilizzare in alternativa l’elegante e sciccosa espressione francese “la figue”. Nessuno mai potrà tacciarvi di spregevole volgarità.

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