È arrivata nel pomeriggio di ieri la nuova condanna all’ergastolo per Jorge Néstor Troccoli, 78 anni, ex ufficiale della Marina uruguaiana, già detenuto in Italia per crimini di lesa umanità. La sentenza, emessa dalla Corte d’Assise di Roma, riconosce la sua responsabilità per l’uccisione di Raffaella Giuliana Filippazzi, Augustin Potenza ed Elena Quinteros, tre delle tante vittime del cosiddetto Piano Condor, la rete di cooperazione tra le dittature sudamericane che negli anni Settanta e Ottanta organizzò sequestri, torture e omicidi di oppositori politici.
Una vita tra due mondi
Per chi lo incontrava nel centro storico di Marina di Camerota, nel Cilento, era soltanto “George”: un pensionato riservato, amante del mare e delle passeggiate con il suo bassotto cieco. Nessuno avrebbe mai immaginato che dietro quel volto tranquillo si celasse uno dei protagonisti della stagione più oscura della storia uruguaiana. Eppure, dietro l’apparente normalità della sua seconda vita in Italia, si nascondeva un passato segnato da violenza e terrore.
Troccoli, ex comandante del Fusna, il reparto d’intelligence della Marina, era considerato uno dei responsabili delle operazioni di cattura e interrogatorio dei dissidenti politici. Secondo gli atti processuali, prese parte attiva alle torture nei centri di detenzione clandestini di Montevideo, dove centinaia di uomini e donne furono sequestrati e fatti sparire.
Dalla fuga al rifugio in Cilento
Alla fine degli anni Novanta, quando in Uruguay si iniziò a fare luce sui crimini del regime, Troccoli decise di lasciare il Paese. In Italia arrivò grazie alla cittadinanza italiana ereditata da un antenato originario di Camerota, stabilendosi nel borgo marinaro dove avrebbe trascorso oltre vent’anni in apparente serenità.
Lì si reinventò cittadino comune: una piccola casa in affitto, qualche conoscente, un’attività di noleggio scooter per turisti. La comunità lo aveva accolto senza sospetti, fino a quando nel 2007 il suo nome comparve nelle carte del processo internazionale sul Piano Condor. Da allora, la sua doppia vita venne lentamente alla luce.
Il processo a Roma
Il nuovo procedimento, celebrato nell’aula bunker di Rebibbia, si inserisce nel filone di indagini condotte in Italia per i desaparecidos di origine italiana o con doppia cittadinanza. La Procura di Roma, rappresentata dal pm Erminio Amelio, ha chiesto e ottenuto una nuova condanna all’ergastolo.
«Troccoli non può chiedere di essere giudicato come un uomo qualunque – aveva detto il magistrato in aula – perché di fronte a chi ha fatto sparire persone innocenti, la storia non ammette neutralità».
Secondo la ricostruzione, Filippazzi e Potenza – cittadini argentini di origine italiana – furono arrestati a Montevideo e poi consegnati alle autorità del Paraguay, dove scomparvero dopo mesi di torture. Anche Elena Quinteros, giovane maestra uruguaiana, fu sequestrata nel 1976 e uccisa dopo aver tentato di chiedere asilo all’ambasciata del Venezuela.
“Una sentenza che restituisce dignità alle vittime”
Soddisfazione da parte delle famiglie e dei legali delle vittime. «Questa decisione ribadisce che i crimini contro l’umanità non vanno mai in prescrizione – ha commentato l’avvocato Arturo Salerni, parte civile nel processo –. È un passo ulteriore nella ricerca della verità sul Piano Condor, che vide agire insieme più regimi sudamericani in una strategia di eliminazione fisica degli oppositori».
Salerni ha ricordato come, grazie alle indagini dell’équipe antropologica forense argentina, sia stato possibile individuare i resti di alcune vittime dopo decenni di silenzio. «Dietro ogni nome c’è una storia di famiglie che hanno atteso invano un ritorno. Questa sentenza restituisce almeno un frammento di giustizia», ha aggiunto.
Il volto nascosto di Marina di Camerota
Per Marina di Camerota, il borgo cilentano che Troccoli aveva scelto come rifugio, la notizia è stata un fulmine. Nel paese nessuno parla volentieri di lui. «Era una persona educata, sempre gentile», raccontano pochi, sottovoce. Ma dietro quella tranquillità si nascondeva una delle ultime ombre del terrorismo di Stato sudamericano.
Oggi l’ex ufficiale, già condannato in via definitiva per la morte di venti desaparecidos, resta in carcere, e la nuova sentenza conferma la sua responsabilità in un’altra pagina di sangue della storia del continente.
La Corte renderà note le motivazioni entro novanta giorni. Ma il verdetto, intanto, sancisce un principio: anche a migliaia di chilometri di distanza e dopo mezzo secolo, la giustizia può ancora raggiungere chi ha costruito la propria libertà sull’orrore degli altri.