19 Dicembre 2025

Quali sono i prodotti enogastronomici a rischio estinzione al Sud

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Quali sono i prodotti enogastronomici a rischio estinzione al Sud

In un’Italia che vanta oltre cinquemila anni di storia agricola, gastronomica e contadina, il Sud continua a custodire tesori enogastronomici unici. Ma molti di questi rischiano di scomparire. Tra varietà autoctone di frutta, ortaggi, legumi e antiche tecniche di lavorazione, il Mezzogiorno si trova oggi di fronte a una sfida cruciale: conciliare sviluppo economico, globalizzazione delle merci e tutela delle identità del territorio.

Nel paesaggio rurale meridionale si annidano varietà vegetali e prodotti tradizionali che raccontano storie millenarie. La biodiversità alimentare, con la sua ricchezza di sapori e profumi, non è solo patrimonio culturale ma risorsa economica; tuttavia, la progressiva standardizzazione delle colture, le dinamiche del mercato globale e la marginalizzazione delle aree interne rischiano di relegare molte di queste eccellenze a un semplice ricordo.

La biodiversità del Sud tra rischio e resilienza

In Campania, ad esempio, diverse varietà di pomodoro da mensa o da conserva – come il San Marzano “antico”, il pomodoro del piennolo del Vesuvio e il **corbarino – sono oggi sotto pressione. Sebbene alcune abbiano ottenuto la Denominazione di origine protetta (DOP) o l’Indicazione geografica protetta (IGP), l’invasione di ibridi ad alta resa e di pomodori standardizzati ha ridotto le coltivazioni tradizionali a nicchie produttive. Queste varietà sono non solo diverse per gusto e consistenza, ma anche per adattamento climatico e resistenza alle malattie, caratteristiche che nel quadro dei cambiamenti climatici diventano fondamentali per la sicurezza alimentare futura.

Nel cuore della Basilicata, la melanzana lunga di Scansano, dal sapore deciso e dalla buccia sottile, rischia anch’essa la scomparsa, soffocata dalla supremazia di cultivar più produttive e uniformi. Similmente, la cipolla ramata di Montoro in Campania e la lenticchia di Altamura in Puglia rappresentano varietà autoctone che necessitano di tutela nelle pratiche agricole e nei circuiti di mercato.

I legumi dimenticati e le varietà cerealicole

Non sono solo ortaggi e frutta a essere minacciati. Nel Salento, la fava di Carpino e la ceci neri di Mola di Bari sono esempi di legumi autoctoni con profili nutrizionali eccellenti. Spesso utilizzati nelle festività o nei piatti della tradizione, rischiano di cadere nell’oblio, insieme a tante varietà di grani antichi come il Senatore Cappelli, la Russello o l’Uragano, che nell’ultimo decennio hanno conosciuto una parziale rinascita grazie ai mulini artigianali e ai panificatori artigiani.

Queste varietà di grano, rispetto ai moderni ibridi raffinati, offrono maggior contenuto proteico, sapore più ricco e proprietà nutrizionali che si riflettono in prodotti da forno – dal pane alla pasta – con caratteristiche organolettiche difficilmente replicabili altrove.

Le cause del declino

Più fattori concorrenti spiegano la fragilità delle varietà locali:

Globalizzazione dei mercati: i sistemi di distribuzione mondiale favoriscono varietà standardizzate, con produzione e resa uniformi, a scapito di cultivar locali più delicate. Politiche agricole e sussidi: spesso incentivi e contributi premiano quantità e resa piuttosto che biodiversità e sostenibilità. Perdita di pratiche tradizionali: l’abbandono delle campagne e l’invecchiamento della popolazione contadina portano via con sé competenze, sementi e conoscenze tramandate di generazione in generazione. Cambiamenti climatici: siccità, ondate di calore e eventi estremi mettono a dura prova colture non selezionate per alti volumi ma per adattamento locale.

Buone pratiche e iniziative di tutela

Non tutto è perduto. In molte aree del Sud si stanno moltiplicando reti di agricoltori, associazioni e consorzi che puntano a recuperare, catalogare e diffondere varietà locali. Progetti come quelli dell’Arca del Gusto di Slow Food, programmi di agricoltura custodiale e banche del germoplasma regionale svolgono un ruolo chiave nella conservazione delle sementi e nella promozione di produzioni a filiera corta.

In Campania, la rete dei presidi del pomodoro tradizionale ha contribuito a mantenere viva la coltivazione di varietà storiche. Allo stesso modo, in Sicilia, la valorizzazione di legumi come i ceci neri di Catania o la lenticchia di Ustica ha trovato nella trasformazione e nel turismo enogastronomico nuove opportunità di reddito per i piccoli produttori.

Il ruolo della ristorazione e dei consumatori

La ristorazione di qualità gioca un ruolo fondamentale nel dare visibilità a questi prodotti. Chef e ristoratori nel Sud stanno sempre più scegliendo materie prime locali e autentiche, spesso scomparendo dai menu industriali. Menu degustazione, cene a tema, collaborazioni tra cuochi e agricoltori contribuiscono a raccontare al grande pubblico il valore delle varietà autoctone.

Anche i consumatori possono fare la differenza: scegliendo prodotti locali, partecipando a mercati contadini, aderendo a comunità di acquisto solidale (GAS) si sostiene un modello agricolo che premia biodiversità, sostenibilità e giustizia economica.

Un futuro possibile

Salvare le varietà locali non è soltanto un esercizio nostalgico. È una scelta strategica per la resilienza alimentare, per la sostenibilità agricola e per la ricchezza culturale del Sud Italia. Ogni seme recuperato, ogni piatto che riporta in tavola un gusto antico, è un mattone nella costruzione di un futuro più sano e sostenibile, dove la biodiversità torna ad essere un valore e non un rischio.

In un mondo che corre verso l’omologazione, il Sud italiano offre un antidoto potente: la diversità. Riscoprirla significa nutrire il corpo e l’identità di una regione – e di un paese – con le sue radici più profonde.

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