«Quella notte ho perso papà. Dopo 15 anni non sappiamo ancora chi l’ha ucciso», intervista ad Antonio Vassallo

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«Quella notte ho perso papà. Dopo 15 anni non sappiamo ancora chi l’ha ucciso», intervista ad Antonio Vassallo

Sono trascorsi quindici anni dall’omicidio di Angelo Vassallo, il sindaco pescatore, ucciso la sera del 5 settembre 2010 ad Acciaroli. Una vicenda ancora avvolta nel mistero: i mandanti e gli esecutori restano senza volto e senza nome. A ricordare quella notte è suo figlio Antonio, che racconta con lucidità e dolore i momenti vissuti.

Antonio, qual è il ricordo più nitido di quella giornata?
«Papà quella mattina era andato a pesca e mi aveva chiesto di accompagnarlo. Non ci andai, ero troppo stanco dal lavoro al ristorante. Al ritorno mi mostrò con orgoglio una grossa cernia che aveva preso. Mi disse: “Se fossi venuto anche tu, avresti avuto questa soddisfazione”. Era contento. Poi mi chiese di portarla al ristorante per la cena di un suo caro amico. Alle 12:05 mi chiamò di nuovo, voleva sapere il peso del pesce. Quella è stata la sua ultima telefonata.»

Come trascorse il resto della giornata?
«Sembrava una giornata normale di fine estate. Mamma era impegnata al ristorante di zia Rosa, io passai a salutare alcuni amici. La sera rientrai a casa e mi addormentai. Nel cuore della notte squillò il telefono: era zia Rosa. Mi disse solo “Antonio, vieni subito, c’è stato un incidente”. Corsi fuori di casa a piedi nudi, senza nemmeno vestirmi. Sul luogo vidi la macchina di papà. Mamma era seduta su un muretto, sconvolta. Mi guardò e mi disse: “Hanno ucciso papà”.»

Cosa ricorda di quei momenti?
«Mi avvicinai all’auto. Lui era lì, con la testa piegata sul lato. Le luci blu dei lampeggianti illuminavano a intermittenza la scena. Non ho avuto il coraggio di guardare oltre, mi girai verso mamma e la strinsi in un abbraccio. Lì ho capito che quella era la notte più brutta della nostra vita.»

Che reazioni ci furono in famiglia?
«Mia sorella Giusy arrivò poco dopo. Era distrutta, urlava, cercava un colpevole. Io in quel momento non riuscivo a pensare a chi avesse sparato, l’unica cosa che contava era stare accanto a mamma. Le avevano portato via l’amore di una vita. Erano insieme da quando lei aveva 16 anni. Avevano costruito tutto: la famiglia, il lavoro, i sacrifici, i sogni. In un istante era stato distrutto.»

Ricorda anche l’arrivo dei giornalisti?
«Sì, arrivarono subito, quasi in contemporanea con la notizia. All’epoca sembrava normale, era un fatto grave, ma solo anni dopo abbiamo capito che anche quella rapidità sarebbe diventata parte delle indagini. C’era chi aveva avvertito la stampa prima ancora che la notizia fosse chiara.»

Dopo quindici anni, qual è il peso più grande?
«Il dolore non passa, ma il peso più grande è l’assenza di verità. Non sapere chi ha ucciso papà, né perché. Non poter dare un nome ai mandanti e agli esecutori. È come vivere una ferita sempre aperta. La giustizia non può continuare a negare risposte, non solo a noi familiari, ma a tutta la comunità che papà amava e per cui aveva speso la vita.»

Cosa resta oggi di suo padre?
«Resta l’esempio di un uomo che ha lottato per la sua terra, che ha difeso il mare, la legalità, la bellezza di questo posto. Resta il ricordo di un padre che ci ha insegnato la dignità, l’onestà, la passione per le cose giuste. E resta la nostra determinazione a non arrenderci finché non arriverà la verità.»

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