Dal fumetto al murale, dai dipinti alla ceramica: intervista a Mauro Trotta, poliedrico artista di origini cilentane
| di Giuseppe Galato
D: Hai partecipato alle selezioni per la nuova Triennale di Roma: parlaci di questa tua esperienza.
R: Un’esperienza che mi ha fatto piacere, anche per il fatto di essere stato invitato ed esporre accanto ad artisti affermati, e non, comunque tutti molto bravi e ben selezionati,una mostra curata in un posto importante di Roma, la galleria L’Agostiniana in Piazza del Popolo, accanto alla Basilica del Popolo che custodisce due opere fondamentali del Caravaggio, oltre a quadri del Pinturicchio, Annibale Carracci e statue di scuola del Bernini. Per me, un onore esporre vicino a tali esponenti dell’arte italiana. I curatori della Triennale, Daniele Radini Tedeschi, Sergio Rossi e Stefania Pieralice, hanno sottolineato il momento di crisi del mercato odierno e l’istituzione di tale rassegna vuole essere un’occasione di riflessione con proposte anche nuove con un occhio particolare per la “nuova figurazione”, e con la pubblicazione del testo scientifico di Daniele Radini Tedeschi “Itinerari d’arte contemporanea” sull’arte moderna che raccoglie anche gli artisti presenti in mostra con una nota critica su di loro.
D: Cos’è l’arte per te?
R: L’arte e’ per me un concetto molto largo e nello stesso tempo molto selettivo e preciso. Penso alla possibilità di rendere universale un gesto e un momento espressivo. È una cosa che,creata,si mette in relazione con chiunque e chiunque può esserne folgorato, come un’illuminazione. È trasformazione continua, anzitutto interiore, ed è un momento rivelatore che subito diventa visibile o ascoltabile, quindi del mondo. L’artista è uno scopritore e un rivelatore di sé stesso in quanto cercatore di segreti che subito diventano del mondo, e che non tutti sono in grado di capire. Ma si capisce il valore che hanno certe rivelazioni, e la bellezza che riflettono. L’arte può essere entrare nel cuore delle cose per modificarle, ma anche nel cuore delle persone.
D: Come descriveresti invece la tua arte?
R: La mia arte, se si può usare tale definizione, è allo stesso modo tante cose e tanti momenti diversi. Ma perché ho tante modalità espressive, e non rinuncerei a nessuna. Parto dal “mestiere”, così come anticamente nasceva l’arte, e cerco di dargli importanza e vita. Ho conosciuto il fumetto, l’illustrazione, la pittura come legame tra tutti, il ritratto, l’arte dei madonnari, la ceramica, il dipinto murale. Ognuna di queste modalità espressive ha un suo tempo per me, e io disegno pensando all’una o all’altra, ma sempre con la mia personalità curiosa, ammirata e colloquiale. Il mondo che porto nelle mie creazioni è un mondo che osserva e si osserva, che cerca un riflesso di sé nelle cose che gli stanno attorno. Nei momenti di ricerca, quando voglio comunicare qualcosa di forte, lavoro sull’immagine per darle significato e per portarla in un contesto diverso da quello che appare; simbolicamente, in maniera visionaria, con accostamenti improbabili o semplicemente trattando con stile diverso parti del dipinto. Ci sono sempre riferimenti all’arte classica o rinascimentale.
D: Come ti sei avvicinato all’arte?
R: Comincio a disegnare ancora piccolo e porto con me questo esercizio tenacemente come un linguaggio inseparabile dal mio essere che forse proprio per questo a volte cerca nuove forme. La formazione scolastica mi fa conoscere i linguaggi pittorici legati alle varie epoche e l’arte applicata diventa per me motivo di ricerca e di lavoro, convinto come sono da sempre stato di dover vivere della mia arte. Al sud non è facile soprattutto emergere ma anche viverci quando si nasce in un piccolo paese e non si è disposti a cambiare nazione o spostarsi nei grandi centri d’arte. Per fortuna in Italia abbiamo piccoli ma importanti “distretti”d’artigianato artistico. Sarebbe importante creare un distretto cilentano.
D: Cosa ne pensi della comunità dei critici d’arte?
R: Ci sono critici veramente formati, conoscitori della storia dell’arte antica e contemporanea, e chi conosce bene il proprio ambito ed esercita con passione credo possa fare critica attenta. Ma ci sono anche tanti improvvisati, e la gente che si avvicina all’arte credo vada semplicemente formata a farsi una propria idea critica riguardo all’arte, frequentandola e conoscendola. L’arte è per la gente,non per pochi eletti o privilegiati, e se alcuni linguaggi hanno bisogno di un’adeguata formazione è anche vero che la vera arte ha molti piani di lettura e di solito non lascia indifferente l’osservatore dotato magari di poca conoscenza artistica ma di notevole sensibilità, che ha magari semplicemente bisogno di capire il contesto storico, sociologico e la ricerca personale dell’artista che ha creato l’opera. Credo che l’artista debba ridiventare umile per riavvicinarsi al pubblico magari affiancato dal critico, ma il critico non deve sostituirsi all’artista creando il personaggio, bensì spiegandone il percorso e la ricerca, aiutando le persone a formarsi un proprio senso critico.
D: Come si fa a definire il valore di un’opera?
R: Domanda non facile per me. C’è valore commerciale, e c’è un valore “intrinseco”all’opera, qualcosa che si possa chiamare valore artistico. I parametri per valutare un’opera sono diversi, e senz’altro la critica d’arte dà valore, le recensioni danno valore, a richiesta del mercato anche, e molto. Ovvio che rimanere confinati nel provincialismo crea valore solo locale e bisogna invece confrontarsi perché ci sia valore condiviso e riconosciuto, ma nel mercato ci sono anche sistemi chiusi che danno valore ad alcuni artisti piuttosto che ad altri, per poi riversarli sul mercato. Credo che il vero valore di un artista non sia dato a priori o solo per il “nome”, ma da ogni opera che fa. Credo inoltre che chi non fa altro che riproporre le stesse cose per richiesta di mercato non fa sempre arte, e il valore di un’opera dovrebbe seguire anche criteri di unicità del pezzo.
D: Ti interessano anche altre forme d’arte oltre alla pittura? Penso alla musica, al cinema, alla scrittura.
R: A me piace molto scrivere e spesso corredo il dipinto murale di una breve scritta che dia solo una traccia per leggere l’opera, amo ascoltare musica e leggere scritti o poesie, ma sono incostante in questo. In realtà la passione per l’arte figurativa è quella che mi accompagna da sempre e a cui dedico maggiore tempo.
D: Qualcuno tende a definire le opere pittoriche come al contempo musicali. In particolare penso al Kandinsky di “Punto, linea, superficie”, tre elementi che possono essere trasformati, rispettivamente, in ritmo, melodia e tappeto sonoro, trasportati in musica: pensi si possa fare un accostamento del genere?
R: Amo i pittori come Kandinsky, capaci partendo da una base artistica molto forte e figurativa, di rivoluzionare la propria forma espressiva ed esplorare, anzi creare nuovi linguaggi pittorici, ma anche scoprire nuovi significati nel gesto artistico razionalizzandoli, mettendo in relazione le diverse arti e creando una dialettica molto articolata tra esse. Io credo che la pittura sia una metafora della vita vissuta, dell’esperienza che da globalmente sensoriale diventa esclusivamente visiva e nell’immagine non può non comprendere alfabeti e linguaggi che visivi non sono, ma che lo diventano. Le arti sono diverse e hanno diverso linguaggio, ma la sensibilità creatrice è unica ed è interessante provare a raggiungerla seguendo il percorso inverso,ossia dalla contemplazione dell’opera al suo momento creativo.
D: Un’altra peculiarità della pittura che in pochi sottolineano è la “mutevolezza” del quadro. In generale si tende a percepire il quadro come qualcosa di statico, perché sta lì, rimane fermo, non muta nel tempo. Eppure il quadro può in un certo qual senso essere percepito anche temporalmente, ma da un altro punto di vista, e cioè quello dell’osservatore: l’osservatore non guarda mai l’opera in toto ma si sposta con lo sguardo da un punto all’altro dando “movimento”, “mutabilità nel tempo” all’opera, trasformandola, volendo estremizzare, quasi in un’opera cinematografica.
R: Questo lo si nota quando dalla contemplazione di un quadro di piccole dimensioni si passa a un’opera di dimensioni considerevoli: mentre il quadro piccolo si presta allo sguardo globale, nel quadro o nell’opera considerevolmente grande spesso ci si perde, non solo nei dettagli ma anche spostandosi da un lato all’altro e diverse risultano le sensazioni che si vivono, la prospettiva che ci offre e la riflessione della luce, lo facciamo vivere delle nostre sensazioni diverse e se siamo rimasti molto a guardarlo, allontanandoci ci può sembrare che sia finito un film. A me capita spesso questo.
D: Fra le varie forme espressive che utilizzi c’è anche quella del murale: cosa ne pensi dei murales di origine metropolitana fatti spesso illegalmente con l’ausilio di bombolette spray ma che spesso nascondo grandi potenziali artistici? Cosa ne pensi della aerosol art?
R: Ne penso bene. Conosco alcuni writers che non hanno nessun desiderio di essere illegali, che partecipano pacificamente e coloratamente ai vari “contest”in Italia e nel mondo, e pochi di loro farebbero atti di vandalismo e deturpazione urbana. Obiettivamente però hanno poco spazio e occasioni per esprimersi al meglio in Italia, e tuttavia spesso sono i primi a trovare soluzioni esteticamente valide per far vivere quartieri e pareti inutilmente grigie, magari semplicemente progettate male. Il vandalismo è un’altra cosa, e chi deturpa i monumenti non è un writer.
D: A Piano Vetrale hai realizzato un murale dedicato al fumetto Bonelliano: qual è il tuo rapporto con i fumetti della Sergio Bonelli Editore? Quali sono i tuoi preferiti?
R: Il murales di Piano Vetrale di quest’anno, che è stato apprezzato anche sul web da appassionati del fumetto, nasce dal desiderio condiviso con me dai ragazzi della Pro Loco di fare un omaggio ai personaggi di un fumetto interamente italiano. Condividiamo la passione per la lettura di un genere soprattutto giovanile, ma non solo, visto che oggi il pubblico del fumetti italiano è una nicchia composta da gente di varie età. Io personalmente ho letto Tex, Zagor, Mister No, Martin Mystere, ultimamente mi ero affezionato a Dylan Dog come personaggio più contemporaneo.
D: Ti sei mai cimentato nel disegno di fumetti?
R: Il fumetto è stato il mio primo primo approccio lavorativo, qualche anno dopo il diploma di liceo artistico. L’arte applicata è sempre stato il mio ambito lavorativo congeniale, e il fumetto è stata la mia principale lettura giovanile. Avendo saputo nel mondo del fumetto dello studio Giolitti come uno dei migliori in Italia, a Roma, ho deciso di contattarlo. Dopo l’entusiasmo iniziale, e un anno di collaborazione e insieme formazione, qualche lavoro per una casa editrice minore, è stato lo stesso Giolitti a chiarirmi quanta gavetta (e lavoro sottopagato) avrei dovuto sostenere per emergere nel campo. Non potendo permettermi lunghi e continui viaggi per l’Italia alla ricerca e proposta per le case editrici, ho deciso di abbandonare il campo.
D: Qual è lo stato dell’arte e della cultura in generale nel Cilento e in Italia?
R: Abbiamo alcune eccellenze, nel Cilento, raramente valorizzate e a volte anche poco conosciute nel loro luogo d’origine. Ma credo che questo rifletta la carenza di laboratori formativi e creativi di ampio respiro nei nostri piccoli paesi e tuttavia isolate individualità riescono a trovare riconoscimento e sostegno lontano da casa loro, in questo siamo ancora un popolo di emigranti. Artisti nati nel Cilento ce ne sono tantissimi, difficile è farli lavorare a casa loro. In Italia stiamo affrontando un momento critico ma decisivo, secondo me, per la riscoperta proprio dell’arte e delle eccellenze che ci rendono unici nel mondo se sappiamo ancora cogliere la sete di unicità e tipicità che c’è verso il prodotto italiano, e a questo bisognerebbe dedicare attenzione e ricerca. C’è invece molta sfiducia per le risorse pubbliche che il mondo della cultura ha perso, preoccupazione che però dovrebbe essere compensata dalle nuove possibilità nel mondo globalizzato, dove gli investimenti privati si finalizzano a progetti artisticamente validi.
D: Credi ci sia attualmente abbastanza interesse per l’arte nel Cilento e in Italia in generale? Se no, secondo te per quali motivi?
R: L’arte nel Cilento va non solo sostenuta ma anzitutto scoperta. Tradizioni che si perdono, la mancanza di istituti artistici e di chi investa nel settore perché non ne vede le possibilità, sono punti dolenti che impoveriscono un patrimonio legato al territorio e alla natura che molti non vedono. In una zona scelta da tanti turisti come luogo di vita e non solo di vacanza, è proprio la diffusione del messaggio artistico che dovrebbe trovare promozione continua e maggiore investimento, sia pubblico che privato. Il progetto dei murales di Piano Vetrale ad esempio da tanti anni cerca di svilupparsi attraverso forme di sponsorizzazione e diffusione spontanea visto l’entusiasmo degli abitanti, ma nel Cilento non se ne parla. Un coordinamento maggiore nel mondo dell’artigianato artistico servirebbe,anche,oltre alle iniziative,positive,degli eventi artistici purtroppo concentrati solo nei mesi estivi. Questo riflette la scarsa formazione e sensibilità verso il campo artistico del cilentano “medio”. Ma anche in Italia in generale,l’arte muove un pubblico di nicchia. Si conoscono pochi pittori, famosi, un certo numero di musicisti, gli attori teatrali di punta. Non parliamo poi delle nuove forme d’arte digitale, anche se il pubblico dei giovani verso l’arte digitale è più attento.
D: Progetti attuali e futuri?
R: Progetti generali: continuare a partecipare a rassegne importanti e concorsi, far crescere il nostro laboratorio di ceramica, preparare una personale dopo tanti anni che partecipo (volentieri) in collettiva, contribuire alla crescita di progetti condivisi che coinvolgano il Cilento e che facciano scoprire le meraviglie che solo l’arte può offrire. E perché no anche farmi conoscere di più.
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