Palermo ricorda Joe Petrosino, commemorazione a 104 anni dall’omicidio

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Palermo ricorda Joe Petrosino, commemorazione a 104 anni dall’omicidio

Fu ucciso il 12 marzo 1909 a Palermo in piazza Marina Joe Petrosino, in un vile agguato e martedì a Palerno in una solenne commemorazione sul luogo dell’agguato verrà ricordato l’eroe, l’uomo che a prezzo della vita decise di combattere il crimine.

L’evento voluto dall’istituto Superiore per la Difesa delle Tradizioni, nella persona del presidente Roberto Trapani, vedrà la presenza di autorità civili, religiose e militari. Per l’occasione è giunta da Padula, luogo di nascita dell’eroe, una delegazione compostra da membri dell’associazione Internazionale Joe Petrosino, guidata dal Vice presidente Vincenzo Lamanna, dal pronipote di Joe Petrosino nonchè presidente onorario, Nino Melito Petrosino e da Tiziana Bove Ferrigno, assessore alla Cultura ed al Turismo della Città di Padula in rappresentanza del Sindaco Imparato e della Città che diede i natali al ‘servitore’ dello Stato. «La presenza istituzionale dell’Assessore Bove Ferrigno – dichiara Nino Petrosino -costituisce motivo qualificante per la commemorazione, unitamente alle Istituzioni che parteciperanno e che hanno dato la loro adesione, nelle persone di Leoluca Orlando, Sindaco di Palermo, Giovanni Avanti, Presidente della Provincia Regionale di Palermo, Rosario Crocetta, Presidente Regione Siciliana». Intanto, oggi la delegazione visiterà la Casa Memoria di Peppino Impastato a Cinisi.

Joe Petrosino nacque a Padula il 30 agosto 1860, da famiglia modesta, non povera. Era un italiano che, come molti altri meridionali, verso la fine dell’Ottocento, decide di cambiare la sua vita imbarcandosi per raggiungere il ‘Nuovo Mondo’. Era emigrato per sfuggire ai problemi della sua terra, ma si ritrovò, lì, a dover fronteggiare il principale problema della sua Italia. Sbarcato a New York come clandestino, dopo essersi dedicato ai più svariati mestieri, entrò in polizia. Da subito emersero quelle qualità che divengono essenziali nel campo investigativo, apprezzate anche da colui che sarebbe divenuto il presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosvelt. Il suo ‘fiuto’ nello scovare i compaesani criminali gli conferì, infatti, nel 1905 il grado di tenente e il posto di guida dell’Italian Branch, una squadra di poliziotti di origine italiana che voleva sventare i piani criminali della Mano Nera. L’obiettivo che l’Italian Branch si era preposto non era tanto diverso da quello del pool antimafia degli anni Ottanta, nonostante il lunghissimo arco di tempo che intercorre tra la costituzione delle due squadre. Joe Petrosino aveva, bisogna dirlo, guardato negli occhi la mafia americana, ne avrebbe tranquillamente potuto far parte: parlava la loro lingua, conosceva i loro modi di fare, era nato nella stessa terra che li aveva generati, ma la sua dignità di uomo lo aveva spinto a combattere dall’altro lato della barricata e ad intraprendere una guerra che si sarebbe conclusa solo con la morte dell’uno o dell’altra. E il 12 marzo 1909 divenne il giorno della resa dei conti che però ebbe risvolto sicuramente inaspettati per coloro che gli diedero la morte (diviene il simbolo della lotta alla criminalità nel mondo). Quattro colpi di pistola, sparati probebilmente da don Vito Cascio Ferro, lo fecero accasciare al suolo. Proprio seguendo una pista che avrebbe dovuto portarlo ad infliggere, infatti, un decisivo colpo alla Mano Nera, Petrosino era giunto in Italia. La missione era top secret, ma a causa di una fuga di notizie tutti i dettagli furono pubblicati sul New York Herald. Alle 20.45 di venerdì 12 marzo 1909, tre colpi di pistola in rapida successione e un quarto sparato subito dopo, suscitano il panico nella piccola folla che attende il tram al capolinea di piazza Marina a Palermo. C’è un generale fuggi fuggi: solo il giovane marinaio anconetano Alberto Cardella (Regia Nave Calabria della Marina Militare) si lancia coraggiosamente verso il giardino Garibaldi, nel centro della piazza, da dove sono giunti gli spari: in tempo per vedere un uomo cadere lentamente a terra, ed altri due fuggire scomparendo nell’ombra. Non c’è soccorso possibile, l’uomo è stato raggiunto da quattro pallottole: una al collo, due alle spalle, e un quarto mortale alla testa. Poco dopo si scopre che si tratta del detective Giuseppe Petrosino, il nemico irriducibile della malavita italiana trapiantata negli Stati Uniti, celebre in America come in Italia quale protagonista della lotta al racket. Il console americano a Palermo telegrafa al suo governo: Petrosino ucciso a revolverate nel centro della città questa sera. Gli assassini sconosciuti. Muore un martire. Il governo mise subito a disposizione la somma di 10.000 lire, corrispondenti a quasi 40.000 euro attuali, per chi avesse fornito elementi utili a scoprire i suoi assassini. La paura della mafia però è più forte dell’attrazione esercitata da quell’elevata offerta di soldi: le bocche rimangono chiuse. Circa 250.000 persone parteciparono al suo funerale a New York, un numero fino ad allora mai raggiunto da alcun funerale in America.

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