I proverbi, i detti e le sentenze di Roscigno spiegate da Leopolda Passerella: l’intervista

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I proverbi, i detti e le sentenze di Roscigno spiegate da Leopolda Passerella: l’intervista

Il pomeriggio del 10 settembre, presso la sede dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Marina di Casal Velino, si è tenuta la presentazione della raccolta “Proverbi, Detti e Sentenze Roscignoli e Dizionario della lingua Roscignola” di Leopolda Passarella.

In un momento storico particolare (attualmente non esiste neppure un atlante linguistico dei dialetti della Campania, in fase di realizzazione da diversi anni. Ancora più difficile immaginarne uno dedicato al Cilento, territorio di frontiera, nel complesso già linguisticamente poco uniforme e con una storia dialettologica assolutamente distante da quella del napoletano e del salernitano), il lavoro di Leopolda, al di là della maggiore o minore scientificità della sua impresa, rappresenta un contributo prezioso e un tassello indispensabile per la conservazione della memoria demoetnoantropologica del Cilento.

Per l’occasione l’abbiamo intervistata.

D: Leggendo il suo libro mi sono subito chiesta come fosse nata in lei l’idea di documentare il patrimonio culturale di Roscigno, in particolare demoetnoantropologico e linguistico, attraverso una raccolta di proverbi e un piccolo vocabolario della lingua roscignola.
R: L’idea è nata dalla necessità di creare qualcosa d’importante, di duraturo nel tempo, per il mio paese. Prima del pensionamento lavoravo nel centro di lettura di Roscigno. I centri di lettura, molti anni fa, erano presenti in ogni paese come punto di riferimento culturale ed informativo; dipendevano dalla Regione. All’inizio della mia carriera ero un’insegnante, lavoravo con i bambini. Poi, per evitare spostamenti continui dovuti ai vari incarichi di supplenza e per motivi di salute, decisi di lavorare nel centro di lettura del mio paese. Chiusa in quelle quattro mura, senza il contatto con i ragazzi, senza il mondo della scuola, rischiavo di impazzire, perché io sono una persona socievole, dinamica e vulcanica. Bisognava inventarsi qualcosa per dare un senso al tempo e per dare maggiore dignità al mio paese.

D: Lei dedica la sua raccolta a suo marito, precisando che è stato lui a farle amare il dialetto.
R: E’ vero: mio marito era un amante del dialetto e si esprimeva in dialetto. In un momento storico particolare, in cui si cercava l’integrazione, anche linguistica, tra Sud e Nord d’Italia, mio padre ci teneva che in famiglia e nei rapporti interpersonali si utilizzasse l’italiano come lingua della comunicazione, sebbene il dialetto si conoscesse dalla nascita. Poiché mio marito si esprimeva in dialetto e mi prendeva in giro perché io ero costretta ad utilizzare l’italiano, ho scelto di dedicare il mio libro a lui. In quel momento mi sono resa conto di avere un ruolo preciso, che all’inizio non avevo colto chiaramente: lasciare ai posteri un lavoro collettivo, frutto della collaborazione di tutti gli abitanti di Roscigno, che custodisse e tramandasse la memoria culturale del mio paese.

D: Oggi il dialetto è fortemente contaminato dal modo di parlare delle nuove generazioni e dai mezzi di comunicazione, ormai diffusi ovunque e utilizzati da tutti, per cui la varietà dialettale più arcaica, propria dei parlanti più anziani, esclusivamente dialettofoni e che risiedono nei paesini di montagna, è a rischio di estinzione.
R: Io ho cercato di fare un lavoro scrupoloso, com’è proprio del mio modo di essere. In circa trent’anni, ho intervistato circa 1200 persone, praticamente tutto il paese di Roscigno, che all’epoca aveva una popolazione maggiore rispetto ad oggi. Non mi sono limitata a riportare un proverbio o un termine sentendolo da una sola persona, ho chiesto conferma a diverse persone, interrogando le più anziane. Alcune di queste persone che mi hanno aiutata nel mio lavoro ormai non ci sono più. Nel frattempo ho continuato a portare avanti il centro di lettura, che era diventato un vero e proprio centro d’informazione culturale e punto di riferimento per i ragazzi impegnati in attività di doposcuola e di ricerca e per gli extracomunitari bisognosi di apprendere la lingua italiana. Io ho cercato di fare quello che era più utile per il mio paese e per la mia gente, mettendo a disposizione di tutti le mie competenze di insegnante. Il contatto con la mia gente, sia nell’ambito delle mie ricerche culturali sia attraverso le attività del centro di lettura, è stata un’esperienza umana bellissima.

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