Fotoracconto della località Calanca a Marina di Camerota tra abbandono e noncuranza

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Fotoracconto della località Calanca a Marina di Camerota tra abbandono e noncuranza

Prima di inziare a leggere consiglio, per chi ancora non l’avesse fatto, di prendere visione della prima parte dell’inchiesta di Luigi e Domingo. E’ un consiglio, logicamente! (Fotoracconto del centro storico di Marina di Camerota tra incuria e degrado)

Il racconto

Comincia a fare caldo a Marina di Camerota. Una passeggiata in compagnia degli amici dopo qualche ore di lavoro fra pc e telefono ci può stare, penso ignaro di ciò che sarebbe accaduto da lì a poco. Spengo il computer. Prendo qualche monete (occultata come se fosse droga fra le sciarpe della Salernitana sulla mensola della mia cameretta) e scendo tutti d’un fiato i sessanta scalini che mi dividono dal portone del condominio. Poggio la mano destra sulla maniglia. Apro la porta. Sono tutto sudato, come se il mio sesto senso fosse a conoscenza del prossimo futuro. Scendo tre gradini. Finalmente sono in strada. Fin qui tutto bene, penso intimorito. Ma, «Luigiiii» sento urlare dalla cavallare che affaccia sul mare. E’ la voce di Domingo. Come ha fatto a trovarmi? Giusto, mi dico subito dopo, sono sotto casa mia. Si sarà appostato in attesa di una mia mossa. «Corri, corri, vieni qui» esclama. Lo raggiungo. Questa volta è più sportivo il mio amico Domingo. Sembra ringiovanito, anche se poi tanto vecchio non è. Sono i capelli bianchi e i nipoti che lo fanno sembrare maturo. Ma lui è acerbo, fuori. Domingo ha un jeans e una felpa grigia. Molto anni 90 questa volta. Dopo brevi considerazioni e lunghi pensieri sulla sua persona decido di fare ciò che dice. Lo seguo.

Noto subito che questa volta non mi domanda se ho con me la digitale. Ormai Domingo lo sa che la porto sempre dietro. Sono una sicurezza per lui. Un pericolo secondo gli altri. Peggio per loro. A me basta la fiducia del mio Domingo. Ma ora basta con le smancerie anche perchè mi sono arrossito. Domingo mi fa notare subito un piccione nei pressi della villa Mariosa poggiato su di un cartello divelto che tenta di specchiarsi dove invece lo specchio non c’è. Povero piccione, stasera all’appuntamento sarà spettinato. Domingo si avvicina, vorrebbe accarezzarlo, sistemarlo in vista della cena galante a base di datteri. Il volatile scappa. Devo imparare a volare, ho pensato in quell’istante, così sarei scappato anche io da Domingo. Scendiamo giù per la cavallara. Passiamo sotto casa del sindaco. Sarà al comune, i balconi sono chiusi. Percorriamo tutta la stradina che costeggia la scogliera e il mare. «Da qui un tempo le donne raggiungevano la torre della Fenosa» esclama Domingo. Ora però con le erbacce alte quanto il mio amico e una pozza d’acqua formata da una perdita centenaria, riusciamo a malapena a passare per arrivare sulla spiaggia della Calanca. Superiamo l’ostacolo e proseguiamo con difficoltà, lo ammetto. Sul grande parcheggio altri cartelli divelti. Uno abbattuto. C’è scritto sopra: «Comune di Camerota. E’ vietato depositare rifiuti prima delle ore 22». Domingo legge ad alta voce poi scoppia a ridere. La risata non è per niente coinvolgente. Resto serio per un po’. Poi insorgo: «Cosa mi ridi?». «C’è scritto vietato depositare rifiuti – dice Domingo – e poi il cartello è buttato a terra e arruginito da giorni». E’ perspicace il mio amico Domingo. Non ci avevo pensato. Bravo. «Il voto a fine giornata», gli dico. Non posso dargli un voto alto ora, altrimenti si distrae per il resto della passeggiata. Domingo deve restare concentrato. E’ la mia mente. Io il suo braccio, per scattare foto.

Saliamo sul marciapiede. Il biglietto da visita per la passeggiata che conduce alla statua di Padre Pio è la spazzatura. Tre sacchetti abbandonati a sinistra, due a destra adornati da bottiglie di vetro. Proprio lì, a pochi passi dall’area riservata allo svago dei più piccoli. Domingo fissa la spazzatura per qualche secondo. Poi la fragranza sprigionata dai sacchetti ci suggerisce di proseguire. Mette una mano in tasca Domingo. Estrae il pacchetto di gomme e comincia a masticare. Ne mastica tre alla volta. Le ultime tre. Poi con il pacchetto vuoto blu fra le mani si guarda intorno. Mi guarda. Cerca ma non trova. Vorrebbe buttare la carta ma nessun cestino corre in aiuto del mio povero amico. La mette in tasca e non ci pensa. Fa bene. Arriviamo quasi sulla spiaggia. Quel poco di spiaggia che il mare ha lasciato al paese. Altri cartelli di ferro che indicano il regolamento dei parcheggi sono stati abbandonati a terra. Fanno da cornice allo splendido panorama. Alla torre e all’isolotto. Il sole sta per tramontare. Domingo vorrebbe assistere al tramonto. Che romanticone. Ma dobbiamo andare. Come nel centro storico anche qui ci sono diverse bacheche per l’affissione dei manifesti vecchie e stravecchie. Sarebbero almeno da riverniciare. Sarebbero e almeno, ho detto. Domingo non commenta. E’ avvilito. Vuole tornare al bar da Gerardo secondo me. Ma Gerardo è impegnato. Gerardo ha curato e continua tutt’ora a curare, tutte le piante del lungomare per un inverno intero. Compra il concime. Le pota. Le sistema e le sorveglia. Domingo invece vuole passeggiare. Non capisco però perchè chiama sempre me. Ma non glielo chiedo. Forse lo seguo per scoprire cosa ha in mente. Chi lo sa. Spero solo che non mi arrestano.

Siamo quasi alla fine. Sono stanco. Non con il fisico, ma con la mente e gli occhi. Ho dovuto ascoltare Domingo per tutto il sentiero e vedere tante cose brutte. Scatto un paio di foto all’erba alta e ad un bidone in ferro sotto la statua di Padre Pio. Un bidone arrugginito e pieno di spazzatura. Quando poso la digitale in tasca trovo Domingo che osserva la colonnina dei parcheggi della Calanca. «Ma sono aperti o chiusi questi parcheggi?» domanda il mio amico. «Non lo so» rispondo. Le collonine dei ticket sono sempre accese, ma qui non ci sono multe alle auto senza tagliando. «Quando vengono i turisti o i rappresentanti che lavorano d’inverno in zona e inseriscono le monete – si interroga l’ex comandante dei vigili – dove vanno a finire i soldi? Chi li prende dalle colonnine?». Mi allontano da Domingo. Questi argomenti non mi piacciono. E soprattutto, come dubitavo prima, non voglio essere coinvolto in vicende giudiziarie pericolose. Ho troppe denunce pesanti sulle spalle. Basta. Vado avanti. Domingo mi segue dispiaciuto per non aver ricevuto nessuna risposta. Via G. Lamanna, ex Punta Terza, sembra una scacchiera. Domingo mi fa notare che la strada è asfaltata, riasfaltata e ririasfaltata. Poi ci sono rattoppi in cemento bianco e qualche buco. Mi gira la testa, meglio guardare in alto. In alto, però, noto che nemmeno un lampione si salva. Siamo troppo critici io e Domingo. Andremo a confrontarci con Sgarbi dopo queste considerazioni. Nonostante la paura di essere chiamati «capre, capre, capre» in diretta televisiva. «Le palle dei lampioni sono tutte rotte» ironizza Domingo. Mago dei doppisensi. Si avvicina alla ringhiera in ferro. Spalanco gli occhi. Pensavo si volesse buttare giù, ma no. Lui testa le sbarre e mi fa notare che sono fragili e corrose dal mare. Mentre pochi metri più in là la staccionata in legno sarebbe da rifare. Sarebbe, dico e concludo. Ho scritto troppo, è vero. Un ultimo sforzo: guardare le foto ne vale la pena. Spero che nessuno faccia caso a Domingo, lui è voluto comparire per forza nelle immagini. Mi spiace.

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Le immagini della passeggiata

 

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