Il caso sulla morte di Franco Mastrogiovanni diventa uno spettacolo teatrale: intervista a Giancarlo Guercio

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Il caso sulla morte di Franco Mastrogiovanni diventa uno spettacolo teatrale: intervista a Giancarlo Guercio

Uno spettacolo teatrale che muove dalle vicende attorno alla morte di Franco Mastrogiovanni, avvenuta il 4 agosto 2009 dopo oltre 80 ore di contenzione ininterrota: “Quem Queritis?”.

Abbiamo chiesto a Giancarlo Guercio, ideatore del progetto, di spiegarci meglio cosa l’ha mosso nella stesura di questo suo nuovo spettacolo teatrale.

D: Il prossimo 7 dicembre, a Vallo della Lucania, tornerai a calcare il palco con “Quem Queritis?”, il tuo nuovo spettacolo teatrale. Stavolta non una commedia ma un testo che rientra nel genere del teatro sociale con la trattazione di un fatto di cronaca realmente accaduto, cioè il caso di Franco Mastrogiovanni: cosa deve aspettarsi il pubblico?
R: Lo spettatore si troverà immerso in un bagno di emozioni. Il tema è importante, forte. Giustamente, una questione sociale, un vero e proprio caso di coscienza. Uno spettacolo adatto a chi sente il bisogno di trovarsi in un percorso di grande intensità e decide di essere informato, di conoscere una vicenda per quanto forte e dolorosa essa sia.

D: Com’è nata l’idea del progetto?
R: L’idea nasce da un duplice desiderio. Da un lato individuare un testo “importante” su cui lavorare e da proporre come mio prossimo spettacolo, dall’altro raccontare e dare un contributo per far conoscere la vicenda di Mastrogiovanni. Questi i due presupposti che hanno messo in moto questa operazione di scrittura prima e di messinscena in questa fase.

D: Parlaci un po’ del lavoro di stesura della sceneggiatura. Immagino ci sia stata una mole alquanto considerevole di informazioni da vagliare.
R: Si, tantissimo materiale e anche molto significativo. Non è stato semplicissimo selezionare i temi, i contenuti, i fatti da narrare. Anche perché si è voluto oggettivizzare un caso personale, ossia raccontare una vicenda che ha anche altri riscontri e soprattutto potrebbe reiterarsi in altri episodi simili. Il testo deve far riflettere, deve essere attualizzato e soprattutto deve rappresentare un monito acchè ciò che è stato non accada più.

D: Hai descritto il testo come “un percorso onirico ma anche un grande spaccato reale. Un testo poetico, quasi un sogno, un parapetto per lo spettatore. Tuttavia, le verità enunciate sono di incredibile intensità”: spiegaci meglio.
R: La tematica trattata è davvero forte. Stiamo raccontando la vicenda di un uomo che è stato “recluso” in una stanza di un reparto psichiatrico, legato ad un letto di contenzione per 81 ore e dopo questa agonia è morto. Il tema è davvero molto intenso. Allora c’era bisogno di qualche pre-testo di protezione, una sorta di difesa per lo spettatore, per non essere troppo violenti nel racconto. Ecco perché è nata l’idea di costruire il testo come una via crucis: l’agonia di Mastrogiovanni per molti versi è simile a quella di un crocifisso o di un qualsiasi condannato a morte. Un Cristo del terzo millennio.

D: Ecco perché il titolo. Ce lo puoi spiegare meglio?
R: Si, “quem queritis?” è la domanda che fa l’angelo alle donne che sono accorse al sepolcro di Cristo. Appunto, “Chi cercate?”, che poi era diventato anche il titolo di una ricorrente rappresentazione della passione di Cristo nel periodo medioevale. La domanda che fa l’angelo, in questo spettacolo la farà il protagonista agli spettatori, ad ogni spettatore, e lo farà in un momento testuale molto significativo.

D: Hai anche affermato che tra i testi di riferimento ci sono il “Caligola” di Camus e “Enrico IV” di Pirandello: come si conciliano questi testi con la storia di Mastrogiovanni?
R: A modo loro, Caligola e l’Enrico IV sono due folli e Mastrogiovanni è stato fatto passare per uno che era impazzito. Tuttavia, i due personaggi citati parlano e affrontano il tema della pazzia in un modo molto singolare: essi sanno benissimo che per l’uomo comune è comodo e facile vedere un pazzo lì dove non c’è la pazzia ma una autentica verità. Questo concetto mi permetteva di adottare una chiave di lettura secondo me esatta rispetto a quanto successo al povero Franco. Uno che era scomodo per i suoi modi, per una sua incontrollabile esuberanza e che è stato fatto passare per pazzo.

D: Lo spettacolo sarà fedele alla storia o avrà anche dei momenti di fiction?
R: È in gran parte fedele e come dicevo, oggettivizzato, reso in qualche modo universale, come una tragedia dell’umanità e non di un individuo. La storia di riferimento, il canovaccio principe è quello, racconta ciò che è successo, ma il testo nella sua totalità fa capire anche ciò che potrebbe succedere, a chiunque, in qualsiasi parte del mondo e soprattutto in qualsiasi momento. La messinscena, tra l’altro, considera il linguaggio teatrale ma non solo: c’è molta musica e anche la visione di immagini proiettate.

D: Che idea ti sei fatto della vicenda su Mastrogiovanni?
R: Una brutta storia che si doveva assolutamente evitare. Ci sono troppi riferimenti ad una cattiva società. Non solo la malasanità, che è certamente l’aspetto più raccapricciante dell’intera vicenda, ma anche la privazione della libera circolazione, l’incapacità di ascoltare, la paura che si ha nei confronti di persone che sostanzialmente non sono pericolose. C’è un dato che per me è essenziale. Se Mastrogiovanni era un insegnante di scuola elementare, quanto poteva essere realmente pericoloso? O quanto una improvvisa pericolosità si poteva gestire anche in altro modo? Io penso che questa vicenda è frutto di una serie di brutalità inumane che non dovrebbe verificarsi in un popolo che si definisce civile.

D: Una tipologia di teatro che ci fa capire meglio anche la tua attenzione sociale, come quella politica: ce ne vuoi parlare?
R: È un fatto interiore, di predisposizione. Se senti di dover operare per qualcosa, stai male se non lo fai. Spesso tutto questo mi ha anche fatto soffrire: non sopporto l’ingiustizia e oggi più che mai bisogna davvero corazzarsi, quantomeno per difendersi da tutta l’indecenza che ci sta intorno. L’impegno politico nasce da questa molla, appunto dal bisogno di vedere che le cose possano funzionare, che possa esserci uno spazio per ognuno, che si sappia costruire una base di sviluppo ascoltando e interpretando le reali potenzialità di un luogo e di ogni persona che crea e fa quel luogo. È il bisogno di vedere rispettati e garantiti i diritti e di vedere onorati in un senso di profonda etica, i doveri individuali e collettivi. Siamo alla deriva di ogni cosa e se possiamo utilizzare un linguaggio per scuotere, per far riflettere, per dire la propria lo dobbiamo fare. Questo spettacolo nasce anche per questo.

D: Lo spettacolo è supportato dal Comitato Giustizia E Verità Per Franco: com’è nata questa collaborazione?
R: Dal desiderio di promuovere una informazione sul caso Mastrogiovanni. C’è un rapporto di grande stima e amicizia con i rappresentanti del Comitato che hanno da subito accolto e sostenuto la proposta. Spero di poter fare un reale bene alla importante causa che stanno portando avanti.

D: Dopo la prima a Vallo della Lucania hai intenzione di portare avanti questo progetto, magari su palchi nazionali?
R: Siamo già all’opera! Ci saranno sicuramente altre tappe e alcune anche su palchi di una certa importanza. Questo spettacolo deve essere portato fuori, in giro, su altre piazze perché si deve sapere ciò che è successo in un pubblico ospedale e perché artisticamente è il mio nuovo lavoro, per cui dovremo camminare molto.

D: Progetti futuri?
R: Tanti, moltissime idee in cantiere. Sono contento che a breve parta il Laboratorio permanente di arti sceniche nel Vallo di Diano che ho fortemente voluto e che è il primo passo per l’avviamento di una Accademia del teatro e dello spettacolo in provincia di Salerno. Una gran bella cosa. Poi altre iniziative di cui certamente parleremo.

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