Le sirene nella storia, nell’arte, nella musica e nel teatro a Paestum: “Gli occhi di Lighea – il mito della sirena”

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Le sirene nella storia, nell’arte, nella musica e nel teatro a Paestum: “Gli occhi di Lighea – il mito della sirena”

Lo spazio antistante il Museo Archeologico Nazionale di Paestum è occupato in parte da un palco e da sedie a formare una platea: questa sera, il 23 agosto, le sirene torneranno a cantare nel Cilento con l’incontro “Gli occhi di Lighea – il mito della sirena”.

La serata si apre con il dibattito “Il mito della sirena”, che analizza la figura mitologica in vari ambiti: quello storico, quello pittorico, quello musicale.

Ad esporci la nascita e l’evoluzione della figura della sirena è Marina Cipriani (direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Paestum), che illumina i presenti sulle origini iconografiche reali di questa figura mitologica diventata famosa grazie ad Omero e alla sua “Odissea”: non creature metà donne e metà pesce, ma uccelli con testa di donna, sgraziate nella fisionomia ma ammaliatrici grazie al loro canto, mortale ma che al contempo dona conoscenza a chi può ascoltarlo. Ci si addentra sulle potenziali correlazioni con la costa campana (con la sirena Partenope in particolare) e su come man mano nella storia la figura della sirena abbia subito un mutamento nell’iconografia, da donna-uccello, appunto, a donna-pesce.

La parola passa al critico d’arte Antonella Nigro, con la quale ci si è addentrati nelle profondità pittoriche legate alla figura della sirena e dell’ondina. Una carrellata di sinuose figure degli abissi, che hanno ispirato i grandi maestri che nel defluire del tempo non hanno smesso di attingere alla fonte di questa affascinante musa iconografica che è la donna delle acque.

Come la fulva “Sirena Lighea” (1873) di Dante Gabriel Rossetti, che ha dato il La nell’immaginario collettivo ad un susseguirsi di opere che vedono ritratti sensuali ed ammalianti esseri mitologici che attirano a sé ignari navigatori, i quali ispireranno lo stesso John William Waterhouse, esponente della corrente dei Preraffaelliti, con diverse opere che avranno come tema “la donna d’acqua”. Ne sono esempi “Undine” (1872) e “The Siren” (1900).

Le sirene, incantatrici di uomini e ancelle di superba sensualità, gettano radici nell’iconografia dai primordi ellenici finanche ad attecchire nel maestro della secessione viennese, Gustav Klimt; significativa l’opera “Bisce d’acqua” (1904-7), in cui nel verde salmastro filtra il sortilegio dettato dalla forza della natura dell’eros femminile sospeso nell’atmosfera dell’elemento ingovernabile: l’acqua.

Di non secondaria importanza, in questi esseri immortali è racchiuso ciò che l’uomo ha da sempre ricercato: il sapere. Ciò che l’uomo stesso brama di sapere è custodito, per assurdo, in un essere che dovrebbe temere, ma che al contempo desidera.

Da arpia ed essere spregevole la sirena si tramuta in oggetto di desiderio e personificazione dell’animo dell’artista che lo rappresenta, come nell’opera di Marc Chagall “Sirena con Poeta” (1967), il quale si rivede nella mitologica creatura, aggraziata e leggiadra nelle profondità degli abissi, alienata e goffa nella realtà terrestre. La metafora è quella dell’artista avulso dalla società in cui si ritrova immerso ma che non riesce a comprendere e vivere.

La discesa delle sirene, dal cielo alle acque, giunge nel suo estremo capovolgimento da metamorfosi in bellissime e desiderabili donne, seguendo modelli stereotipici di bellezza femminile dotate di grazia e suadenti voci, alla sua totale nemesi con il surrealismo di René Magritte. “L’invention collective” (1934) ci mostra una sirena agli antipodi di quella illustrata dal Waterhouse. Magritte colloca la sirena da essere millenario e immortale, sulla sua ultima spiaggia, riversa sul mare, con busto di pesce e gambe di donna. Una sirena che non suona la lira, non più custode di arti apollinee, una sirena che non canta, muta come un pesce. Non respira neanche più, pesce voluttuoso fuori dall’acqua, agonizzante. Al contempo ciò che resta della donna sono le gambe nude, la storia dell’immaginario che le ha dato un aspetto seducente, e Magritte tramanda ai posteri quello che il mito della sirena tramanda da millenni. Un corpo di donna racchiude misteri, che resteranno oscuri a coloro che riusciranno a resistere alla bramosia del possederli, a discapito della loro stessa vita.

Chiude il dibattito l’intervento del musicista Luca Gaeta con una riflessione che prende solo spunto dal canto delle sirene per riallacciarsi alla tradizione musicale partenopea ed in particolare alle villanelle.

Al dibattito segue lo spettacolo teatrale “Gli occhi di Lighea”, opera tratta dal racconto “La Sirena” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa: una rivisitazione del mito della sirena, qui impersonificata appunto da Lighea, vista non più come femme fatale pronta ad uccidere l’ignaro malcapitato ma amante pronta a donarsi e a donare tutta la conoscenza di cui è portatrice al proprio compagno.

Sul palco Biancarosa Di Ruocco, Lorenzo Vitale nei panni del giornalista Paolo Corbera, Silvia Scarpa a interpretare la sirena Lighea (coadiuvata alla voce da Mara Polverino). Ad accompagnare gli attori (vestiti da Vito Del Plato e truccati da Barbara De Marco) Gianluca Lamanna alla chitarra.

In particolare a colpire è l’interpretazione di Biancarosa Di Ruocco (accolta da scroscianti applausi a fine spettacolo), attrice versatile qui nelle vesti di un uomo, il protagonista della vicenda, il senatore La Ciura, per un ruolo en travesti come da tradizione teatrale di stampo anni ’30: «Mi è piaciuto interpretare il ruolo del senatore – dice l’attrice – perché è come me: un passionale. Non sapevo che Tomasi di Lampedusa avesse scritto un racconto su una sirena. Per la verità lo conoscevo solo per “Il gattopardo”, ma quando ho letto il testo ho scoperto una poeticità del personaggio che mi ha affascinato».

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