“Dir la verità è un atto d’amore fatto per la nostra rabbia che muore”: intervista agli Afterhours

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“Dir la verità è un atto d’amore fatto per la nostra rabbia che muore”: intervista agli Afterhours

Gli Afterhours non hanno certo bisogno di presentazioni.

Con una carriera ventennale alle spalle durante la quale firmano album come “Germi” e “Hai Paura Del Buio?” fino a “I Milanesi Ammazzano Il Sabato” e progetti come “Il Paese È Reale” (presentato a Sanremo nel 2009), gli Afterhours sono una delle band più rappresentative del rock italiano.

In occasione della loro data a Voci dal Sud, dove divideranno il palco con un’altra delle realtà più importanti del panorama musicale italiano, i Verdena, abbiamo intervistato Giorgio Prette, batterista della band milanese.

D: State lavorando al nuovo album: qualche anticipazione?
R: Abbiamo iniziato a lavorarci a novembre e ci abbiamo lavorato fino a maggio. Il disco dovrebbe uscire a maggio dell’anno prossimo. A fine maggio ci siamo fermati perché siamo in tour fino a settembre. La fase di lavorazione è ancora aperta totalmente. Abbiamo già registrato quasi tutte le basi, ma non in maniera completa. Mancano ancora i testi. Comunque sono soddisfatto del lavoro fatto fino adesso. Siamo molto entusiasti. Sarà molto compatto e sarà un disco molto diverso dal precedente.

D: Suonerete a Voci dal Sud a Sant’Arsenio, nel Parco del Cilento e Vallo di Diano, dopo aver già calcato il palco del Meeting del Mare a Marina di Camerota: qualche impressione sul Cilento?
R: Abbiamo avuto ben poco tempo per guardarci intorno perché siamo arrivati il giorno stesso del concerto, in tardo pomeriggio, e siamo ripartiti il giorno dopo.

D: Con un repertorio ormai così vasto come scegliete i brani da proporre dal vivo?
R: Nei periodi in cui non abbiamo materiale nuovo cerchiamo di rinnovare la nostra scaletta cercando di mettere brani che abbiamo particolarmente voglia di suonare, che magari è tanto tempo che non suoniamo, che il pubblico ha ascoltato poche volte dal vivo: cerchiamo di sfruttare il nostro repertorio inserendo delle sorprese.

D: Negli anni ’90 in Italia ci fu gran fermento musicale. Una vasta scena in cui si potevano trovare band come Timoria, Scisma, CSI, 24 Grana, Ustmamò, Subsonica, Verdena, Estra, Bluvertigo e tantissime altre. C’è chi è sopravvissuto e chi no. Voi siete fra quelli che ancora calcano i palchi, considerati i più rappresentativi di quegli anni: come vi sentite nel sapere che in una scena talmente ricca di grandi menti creative siete fra i pochi ad aver raggiunto un certo status?
R: È tutta una questione di vari fattori: farti venire sempre nuovi stimoli, come sicuramente poi il fattore determinante secondo noi è quello di cercare di mantenere una propria autonomia. È la cosa più importante essere padroni del proprio progetto e delle proprie scelte. Molti gruppi della scena a cui ti riferisci tu hanno avuto anche dei problemi di rapporti con le case discografiche. Non è scontato che ci sia una vicinanza di vedute in ruoli così diversi. È difficile da spiegare in poche parole. Ci possono essere tanti fattori che possono portare allo scioglimento o alla fine di un progetto. Da questo punto di vista sicuramente ci sentiamo un’eccezione. Se devo individuare un fattore prioritario lo individuo nell’autonomia.

D: Parlando di autonomia, anche per divincolarvi dalle case discografiche avete fatto partire il progetto “I’m with the band”, molto criticato da alcuni vostri fans: come avete vissuto queste critiche?
R: In realtà il progetto è appena partito, è tutto in fase di elaborazione, per cui non capisco come si possa criticare un qualcosa che non si è ancora manifestato nella sua sostanza. In realtà non sapevo neanche ci fossero state delle critiche. Non saprei cosa ci sia da criticare. È praticamente un fan club, abbiamo aperto le iscrizioni che daranno accesso a una serie di iniziative che sono in fase di elaborazione. Non so cosa ci sia di negativo nell’aprire un fan club. Certe volte siamo stati criticati perché non abbiamo gestito fino in fondo come altri gruppi i rapporti con i nostri fans. Adesso lo facciamo, non vedo cosa ci sia di criticabile. Le critiche sono sempre bene accette nel momento in cui ci sono cose da criticare. Ora è un po’ troppo prematuro.

D: Parliamo di nuove generazioni: “essere innocui che se no è volgare” recita un verso di “Baby Fiducia”, del 1999, dove cantavate di una generazione che “critica tutti per non criticar nessuno”. Le nuove generazioni stanno riuscendo ad essere meno innocue e a “far male” facendo in modo che qualcosa cambi in meglio?
R: Quella canzone era una provocazione, non una critica. Era rivolto anche a noi stessi. È stata presa più sul serio di quello che doveva. In realtà, in quella che è la nostra percezione sulle nuove generazione, la nostra visione è assolutamente positiva. In questi anni, attraverso gli incontri con il pubblico, abbiamo avuto molti punti di contatto con le nuove generazioni che ci hanno sempre colpito in positivo per la loro capacità critica.

D: Una svolta cruciale all’interno del percorso artistico degli Afterhours fu l’abbandono di Xabier Iriondo. “Quello Che Non C’è” mostrò un lato nuovo della poetica musicale e compositiva della band. Quali sono stati gli altri momenti “fondamentali” nella carriera degli Afterhours?
R: Ce ne sono stati tanti. Il primo sicuramente è stato il passaggio al cantato in italiano. Ce ne sono tanti di questi momenti. Sono quelli che poi quando accadono sono fonte di nuovi stimoli e ti fanno andare avanti. Il primo tour in America è stato un altro che ci ha riorganizzato e cambiato nel nostro stile.

D: Raccontaci un po’ dell’esperienza con Antonio Rezza.
R: È stato molto divertente. Lui è un performer geniale, incredibile, con una vitalità e una felicità notevole. È stata una fonte di divertimento e al contempo stimolante confrontarsi all’interno di un nostro spettacolo con una forma che sia diversa dalla nostra e anche prestarci a fare dei numeri con lui.

D: In “Lavorare Con Lentezza” avete interpretato gli Area, con cui tra l’altro Manuel avrebbe dovuto suonare al Traffic di Torino: qual è il vostro rapporto con questa band?
R: È stata una band che ha avuto un’importanza fondamentale nel panorama all’epoca. Non è stato un gruppo che è stato presente nella nostra formazione, nella nostra crescita. Li abbiamo ascoltati successivamente, ognuno per conto suo, ma non sono stati presenti nel nostro backgropund in maniera preponderante.

D: Avete suonato cover di varie band progressive, dai già citati Area ai King Crimson (con “21st Schizoid Man”, anche se un bel po’ rivisitata). Vi sentite legati in qualche modo alla scena progressive in generale?
R: Fino a un certo punto. Ascoltiamo di tutto però diciamo che non è una scena che ha avuto un ruolo, come ti dicevo, preponderante nel nostro background.

D: Quand’è stata e com’è stata la prima volta che Giorgio Prette si è seduto dietro le pelli?
R: Decisi di suonare la batteria a 20 anni nel momento in cui ho sentito l’urgenza. Avevo bisogno di fare qualcosa di mio che fosse anche una fonte di sfogo, e pensare di saper fare qualcosa, anche se non lo sapevo fare (ride). Quindi è stata una cosa molto intima, molto personale. Mi divertivo e sono andato avanti.

D: Quali batteristi sono stati fondamentali per la tua formazione?
R: Ringo Starr, John Bonham, Steve Copeland.

D: Tra l’altro Ringo Starr è un batterista molto sottovalutato.
R: Sfido chiunque a fare i pezzi dei Beatles come li faceva lui, per non parlare dell’aspetto creativo.

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