Le aree interne e i piccoli centri italiani possono tornare a vivere se il turismo diventa un progetto di comunità, non solo di promozione.
In Italia si parla spesso di turismo come di una risorsa naturale, una ricchezza spontanea, quasi scontata.
Ma la verità è che il turismo, oggi, non basta più “averlo”: bisogna saperlo governare.
Perché la differenza tra una meta di passaggio e una destinazione che genera sviluppo sta tutta nella capacità di trasformare la visita in valore, e il valore in coesione territoriale.
Il turismo non deve essere solo un motore economico: deve tornare a essere un collante sociale.
Quando è progettato bene, genera occupazione diffusa, riattiva filiere artigianali e agroalimentari, valorizza competenze locali e, soprattutto, restituisce senso di appartenenza.
Ogni volta che un territorio riesce a trattenere parte della ricchezza che produce, consolida anche la propria identità e la propria capacità di futuro.
È qui che entra in gioco il tema più urgente: lo spopolamento delle aree interne e dei piccoli paesi.
Negli ultimi vent’anni, migliaia di comunità hanno perso abitanti, servizi, scuole, e con essi la fiducia.
Eppure, proprio in quei luoghi — nei borghi, nelle valli, nelle coste secondarie — si nasconde la più grande opportunità di rinascita.
Il turismo può diventare lo strumento che riattiva la vita laddove sembrava rimasta solo la memoria.
Non servono miracoli, ma strategie concrete:
alberghi diffusi, ospitalità comunitaria, residenze d’artista, botteghe esperienziali, percorsi enogastronomici che mettono in rete agricoltori, cuochi, artigiani, operatori e scuole.
Ogni progetto di questo tipo non porta solo visitatori, ma genera relazioni, e le relazioni sono la vera infrastruttura di un’economia duratura.
In molti territori italiani, l’arrivo di nuovi flussi turistici ha permesso di riaprire una bottega, ristrutturare una casa, far tornare un giovane, riaccendere un festival.
Sono segnali piccoli ma fondamentali: ogni esperienza di accoglienza che funziona diventa un atto di controspopolamento attivo.
Il turismo del futuro non potrà più limitarsi a vendere esperienze: dovrà costruire appartenenza.
Perché i luoghi non si salvano con i numeri, ma con la qualità delle connessioni umane che riescono a generare.
Un visitatore che torna ogni anno, un giovane che sceglie di restare, un’impresa che nasce da una passione locale: sono questi i veri indicatori di sviluppo.
Oggi serve una nuova politica del turismo: meno fondata sui picchi stagionali e più orientata a trattenere valore.
Non basta attrarre: bisogna trasformare l’attrazione in radicamento.
È una sfida culturale prima ancora che economica, ma è anche l’unica che può invertire la rotta dello spopolamento.
Perché il turismo, se vissuto come progetto collettivo, può diventare la più potente forma di coesione territoriale.
E in un’Italia che rischia di perdere i suoi paesi, i suoi centri storici e la sua anima, questa coesione non è solo una priorità economica.
È una responsabilità civile.
Marco Sansiviero
Presidente Nazionale Fenailp Turismo



