Caso Mastrogiovanni, infermiere: «Siamo colpevoli ma liberi, non è giusto»

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Caso Mastrogiovanni, infermiere: «Siamo colpevoli ma liberi, non è giusto»

«Abbiamo commesso una barbarie, non abbiamo capito la richiesta di aiuto di Franco strappando al vostro affetto. Vi esprimo la mia vicinanza». Il silenzio lo ha rotto un infermiere dell’ospedale di Vallo della Lucania che dopo 10 anni dalla morte del professore Franco Mastrogiovanni, ha deciso di svelare alcuni retroscena misti ad un velo di pentimento per ciò che è avvenuto all’interno del reparto di Psichiatria del nosocomio cilentano. Oricchio, infermiere oggi in pensione, ha inviato la missiva alla sorella di Francesco, Caterina Mastrogiovanni e al marito Vincenzo Serra. «Sento il dovere di scrivervi per esprimervi con profonda tristezza il mio cordoglio e la mia vicinanza ideale. Nel corso di questo decennio – voi Famiglia, il Comitato per Francesco Mastrogiovanni, e in particolare vostra figlia Grazia, esempio di donna combattiva e tenace – vi siete battuti in tutte le sedi possibili affinché si affermassero la veritá e la giustizia ed evitare che simili tragedie potessero ripetersi in futuro, invece Francesco è morto invano perché ancora oggi nei reparti di psichiatria degli ospedali italiani, gli utenti ricoverati in trattamento sanitario obbligatorio, continuano a morire a causa della contenzione meccanica. Sono passati dieci anni da quel 4 agosto 2009 ma per me quel drammatico evento è come se fosse successo ieri. Rivedo le immagini fissate nella mia mente della interminabile tortura di Francesco, perché di questo si è trattato e non di un trattamento assimilabile alla tortura e di questo mi scuso con voi».

«Durante quei giorni noi mettemmo in atto una barbarie che durò dalle ore 12.30 del 31 luglio fino al 4 agosto durante la quale furono commessi una catena di errori ed una serie ininterrotta di reati gravissimi nei quali prevalse l’inerzia la sciatteria e il lassismo. Fu sconfitta l’umanità della parola rinunciando al compito di una psichiatria umana e civile. Così concorremmo ad uccidere Mastrogiovanni ed io mi ritrovai ad essere un omicida. Dopo un processo – scrive ancora Oricchio – anche se noi imputati siamo stati tutti riconosciuti colpevoli e condannati secondo me non è stata resa piena giustizia a Francesco perché tutti noi pregiudicati circoliamo indisturbati, lavoriamo, fino ad oggi non ci sono state conseguenze importanti sulle nostre vite quotidiane come se non fosse successo niente: tutto ciò non è degno di un paese civile. Quelle crude immagini nelle quali anche l’agitazione e il dimenarsi di Franco costituivano una precisa richiesta di aiuto caduta nel vuoto testimoniano tutta la brutalità del male di noi individui che abbiamo strappato Francesco all’affetto dei suoi cari agli amici ai suoi alunni ai suoi libri che tanto amava. Il vostro congiunto avrebbe potuto essere ancora in mezzo a voi e partecipare a tutte le vicende terrene aldilà della conclusione di questa lunga vicenda giudiziaria la mia condanna è e sarà sempre vivere con questa colpa» conclude Oricchio.

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