La scuola, un’impresa fallita?

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La scuola, un’impresa fallita?

Un quindicenne su due in Italia non comprende ciò che legge, lo denuncia il presidente di “Save the Children Italia”, Claudio Tesauro, che in apertura dei lavori di “Impossibile”, la quattro giorni di riflessioni e proposte sull’ Infanzia e l’Adolescenza, afferma che questi dati sono talmente drammatici da mettere a serio rischio la tenuta democratica del nostro Paese, colpendo i più poveri, gli studenti del sud e quelli con un background migratorio.

Sono di queste settimane i dati sulle altissime percentuali di candidati respinti al termine della prima prova scritta del concorso della scuola secondaria e i risultati del concorso in magistratura, dove il 95% dei candidati è stato respinto a causa di clamorosi errori non solo di diritto ma anche di grammatica.
Ma di chi è la colpa, verso chi o cosa bisogna puntare il dito?

Troppo buonismo da parte dei docenti o le colpe vanno ricercate nell’indifferenza di una classe politica alla quale forse giova ignoranza diffusa e analfabetismo funzionale?

Il fallimento del nostro sistema scolastico è sotto gli occhi di tutti, paradigmatico è il confronto con gli studenti ucraini arrivati da un paio di mesi nelle nostre aule che da subito hanno dimostrato di essere avanti di almeno un anno in matematica e nelle  altre materie scientifiche se messi a confronto con i coetanei italiani.

Lunga è la disamina per giungere al cuore del problema e risolverlo, talmente tortuoso e continuativo è stato  negli anni il picconamento che ha sancito la Caporetto della scuola italiana, picconamento che ha destituito di valore anche il sistema dei licei, un tempo fiore all’occhiello della nostra istruzione, guardato con invidia da tanti paesi nel mondo.

Sono molteplici le motivazioni di questa debacle, aggravata da due anni di DAD e di DID, gli odiosi acronimi ormai pane quotidiano della scuola italiana che ci hanno restituito, nonostante gli immani sforzi dei docenti, discenti delle medie assimilabili a quelli delle elementari di un tempo, discenti dei licei assimilabili a quelli delle medie di un tempo.

Certamente i due anni emergenziali che ci siamo lasciati alle spalle non sono l’unico fattore che ci ha collocato in posizione da retrocessione nelle classifiche europee.

È sotto gli occhi di tutti che da anni ogni riforma ha fatto avvitare sempre più su se stesso un sistema ormai farraginoso, arrugginito e poco produttivo, dove valgono pseudo competenze formulate e riformulate ogni anno ad un gioco al ribasso davvero imbarazzante. Lo si riscontra già dalle nuove edizioni dei libri di testo, sempre più misere nei contenuti, smilze, essenziali, dal lessico povero e formulare come quello del web, sviluppato in paratattiche semplici, senza affondi critici seri, simili ai proibiti “Bignami” e i “Cirannini” di un tempo, salvataggio estremo per chi doveva rabberciare un’ interrogazione dell’ultimo momento.

I testi di storia, ad esempio, pretendono di includere in poche pagine la geografia ed anche Diritto e Costituzione, compendiando gli snodi essenziali del sistema giuridico italiano in scarni, inadeguati paragrafi. Questa nuova materia è stata inserita con un colpo di mano tra le altre discipline ma non appartiene di fatto a nessun docente, non è insegnata, come ai tempi del liceo ad indirizzo Brocca, da professori laureati in giurisprudenza, ma spezzettata in brandelli che si dividono i docenti di tutte le discipline sottraendo ore curriculari appartenenti alle rispettive materie.

Ma tant’è, come sempre accade in Italia, l’importante è che ci sia la forma, poco importa la sostanza.
Tuttavia il vero peccato originale che ha trascinato la scuola in un vortice di inconcludenze è stato quello di  tracotanza che ha immaginato di conferire alla scuola la veste e la struttura di un’azienda: al posto di comando non c’è più un preside, ma un dirigente, al posto del segretario il dirigente amministrativo, così la scuola si ritrova ad essere un’impresa e come un’ impresa viene gestita.

Un altro dato invece va letto in chiave  psicologica ed antropologica, ed è quello che ha visto negli ultimi anni una vera entrata a gamba tesa dei genitori nella scuola. La pervasività di questo aspetto, lo spazio che la normativa ha concesso loro nelle varie componenti degli organi interni alla scuola, si pensi ad esempio al Consiglio d’Istituto o ai Consigli di classe, fa da contrappeso all’ equilibrio delicato e già seriamente compromesso nel rapporto docenti – discenti. Questi ultimi sono quasi sempre difesi e spalleggiati da genitori che contestano sempre, comunque, su tutto, dal carico di compiti assegnati alle ore di studio, fino alle valutazioni, spesso messe in discussione con atteggiamento supponente e arrogante, vanificando così un sistema pedagogico che ha sempre funzionato fin da tempi remotissimi su un semplice assunto: l’alunno ha bisogno di messaggi univoci, di adulti presenti e fari nella notte. A casa educano i genitori, a scuola i docenti.

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