L’ultimo abitante di un paese fantasma del Cilento

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L’ultimo abitante di un paese fantasma del Cilento

Giuseppe Spagnuolo (Foto L. Martino)

Non esistono indicazioni stradali per raggiungere Roscigno Vecchia. A farti compagnia durante il tragitto c’è qualche pastore e il saliscendi dell’auto tra buche e cedimenti dovuti alle frane. Bisogna affidarsi a loro, agli anziani del posto, che con la gestualità di chi conosce per davvero questo lembo di sud indicano la strada giusta per raggiungere quel paese ‘fantasma’. Le dita sono sbilenche ma le mani ben tese a indicare luoghi non altrimenti definiti, se non attraverso parole sbiascicate, rigorosamente in dialetto: quanto basta per comprendere che c’è da arrangiarsi e affidarsi all’intuito. Non c’è nulla tra Sacco, Roscigno Nuova e il paese abbandonato che indichi un confine tra i borghi. E’ un tutt’uno di paesaggio, architetture e volti, questo è il tetto del Cilento, il secondo Parco italiano per estensione. Ogni belvedere qui porta con se la piaga perenne del dissesto idrogeologico, che fa scivolare giù, rotolare verso valle quei brandelli di territorio abbarbicati alle antiche rupi. Per conoscere quel paese abbandonato più di cento anni fa devi conoscere Giuseppe Spagnuolo, l’ultimo abitante di Roscigno Vecchia. Gli americani l’hanno definita la Pompei del ‘900. Le similitudini sono tante. Roscigno è la stessa. Ferma. Quasi immutata. Il lavatoio, la fontana, i portali di pietra, le cantine, le stalle, la fucina del fabbro, i casolari dei contadini e i palazzi gentilizi, parlano di un’epoca lontana. L’ufficio postale al primo piano, sotto il ciabattino. Al centro c’è la chiesa, di fronte, a pochi passi dal portone di ingresso, un tronco centenario, sicuramente tra i più fotografati del Cilento.

Chi varca la soglia di Roscigno, sveglia Giuseppe. Peppe per gli amici, ma anche per chi si presenta per la prima volta al cospetto di quest’uomo che somiglia a un Garibaldi leggermente ingrassato. O a un Karl Marx, meno salottiero e più ruspante. D’obbligo quella cravatta a fiori, e poi una camicia, un giubbotto di jeans e, quando fai per stringergli la mano, lui ha avuto tutto il tempo per cambiarsi tre tipi di cappelli.

Vive da solo a Roscigno Vecchia. E’ lui il sindaco e il presidente della Pro Loco. E’ cicerone e guardiano del museo. Muratore, dottore, geometra, ingegnere, sacrestano e finanche spazzino. Quell’uomo che sembra Babbo Natale, ha nulla e tutto. Il paese è interamente nelle sue mani. Apre lui tutte le porte e tutti i balconi di tutte le case. Si prende cura delle piante, degli animali, della fontana. Accoglie i turisti e si mette in posa per farsi fotografare, poi però esclama: «Non farmi venire fino a casa tua, portami le foto che le metto qui». Nel 2001 è morta Dorina, l’ultima abitante di Roscigno Vecchia. Lui, che lavorava come muratore, si è impossessato di una casa e ora vive qui.

L’ingresso della casa di Peppe

Fa entrare chiunque nel suo nido. Bisogna salire qualche scalino prima di raggiungere un portone in legno e ferro battuto. Peppe, la sua cravatta e lo scricchiolio della porta, ti accolgono inoltrandoti al salotto. C’è legna consumata tra due sedie impagliate di fronte al camino. La dispensa è sul baule che fa da tavolo. Qui il tempo si è fermato. Ci sono due pentole, una forchetta, un coltello e un cucchiaio. Una madonnina d’acqua santa, un barattolo di vetro con delle pesche e del vino rosso. Dietro la porta alcuni abiti appesi. Sui fornelli nulla. Centinaia di peperoncini ad essiccare fanno da cornice ad un provolone. Scatolette di alici, tonno sott’olio, melanzane sott’olio e vino. Vino ovunque. «Vino e peperoncini, poi basta un paio di scarpe e non muori più», suggerisce Peppe. Dorme su di un letto di cartoni. Nel salotto, c’è un tavolo al centro, ricoperto di articoli di giornale che parlano di lui. Sulle pareti vecchie e ammuffite decine di primi piani che lo ritraggono. Una libreria, una vecchia valigia e un balcone con vista sulla fontana e sull’ingresso del paese. Tira intense boccate alla pipa che non abbandona mai. Risalgono al 1907, le due ordinanze del genio civile con le quali fu disposto il progressivo abbandono del paese. Il sindaco di allora disegnò il perimetro dove poi è sorto il nuovo conglomerato di case. Divise quel terreno in appezzamenti da centro metri quadrati ciascuno e ogni cittadino che era in possesso di una proprietà a Roscigno Vecchia poteva costruirsi una casa a Roscigno Nuova. Nello stesso anno il governo stanziò 140 mila lire per risistemare il paese colpito da una frana, ma da allora nulla è stato fatto. E Peppe tira sempre in ballo Garibaldi: «Quel disgraziato che ha rovinato il sud con l’unione d’Italia», dice. Non gli piace l’accostamento. Si definisce un «libero e abusivo» in un paese che cammina. Lo ripete mentre passeggia, quando apre la porta della Pro Loco per mostrare il museo della Civiltà contandina.

Ha le chiavi di ogni luogo Peppe. Può aprire qualsiasi casa, può decidere di dormire un giorno qua e l’altro di là. Accede alle poste, alla chiesa. Peppe è il popolo di Roscigno. Accudisce i gatti e accompagna gli animali che raggiungono la fontana da ogni dove per dissetarsi. Lui fa da guida ai turisti provenienti da qualsiasi parte del mondo. Taglia l’erba e raccoglie i frutti. Lui è il cuoco. Lui conserva in un libro tutte le firme dei passanti e nel cassetto i regali degli esploratori. Lui è «tutto» in un paese che non ha niente. La dove non c’è famiglia, nè comunità, nè chiacchiericcio o un televisore, c’è un angolo di tutto ed è nel testone di questo ultimo abitante del paese fantasma. Roscigno puoi guardarla così, spoglia, morta. Ti ci puoi fermare e sederti sotto un grande albero. Oppure non raggiungerla mai, chiudere gli occhi e immaginarla durante le aride e lunghe giornate d’estate. Roscigno la puoi contemplare oppure maledire, sentirne l’odore o l’acre olezzo. A Roscigno il nulla e il tutto trovano sintesi nella sagoma goffa e gentile di questo uomo che baratta arance con verdure e alla moglie, quando il suocero arrivò in casa, disse: «Due uomini non possono stare sotto lo stesso tetto». Andò via e per fidanzata scelse un’asina. Che si chiamava Clara.

Informazioni e come raggiungere Roscigno Vecchia: www.roscignovecchia.it

Foto ©Luigi Martino

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