La presenza delle reliquie di San Matteo a Marina di Casal Velino: storia e leggenda si intrecciano in un’eco di noumenica malinconia

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La presenza delle reliquie di San Matteo a Marina di Casal Velino: storia e leggenda si intrecciano in un’eco di noumenica malinconia

Ogni anno il 21 settembre, giorno della solenne festività di San Matteo, a Marina di Casal Velino si respira un’aria diversa, intrisa di malinconia.

Complici, forse, il fresco vento autunnale, che stempera il caldo che ha accompagnato le gioie e le spensieratezze della bella stagione, e il ruggito del mare, che non si confonde più con il vociare chiassoso dei turisti.

Se prestiamo un po’ di attenzione, però, non possiamo non notare che il fresco spirare del vento e il triste gorgoglio del mare sembrano trovare una giustificazione al proprio essere nella loro stessa eco di malinconia e di dolore: “Ploremus cum orbata Velia et pessundato Caputatio dum felix Salernum exultat” (Piangiamo con Velia privata delle reliquie e con Capaccio distrutta mentre Salerno esulta felice).

Molti salernitani e non pochi nostri conterranei probabilmente ignorano che le reliquie di San Matteo, l’Apostolo Evangelista patrono di Salerno, prima di essere traslate nella città nel 954 d. C., dimorarono per diversi secoli nelle nostre contrade, tra Velia e la piana dell’Alento.

Nei pressi di Marina di Casal Velino, nel luogo detto “ad duo flumina”, sorge infatti una chiesetta solitaria detta Cappella di San Matteo perché in essa, secondo una millenaria tradizione, furono deposte le sacre spoglie del Santo.

Facciamo un salto indietro nel tempo per capire come, quando e perché le reliquie dell’Apostolo giunsero nella pianura di Casal Velino.

Le fonti testimoniano che il corpo del Santo, martire in Etiopia, dopo trecento anni dalla morte, fu trasportato a Legio, città sita nella parte più occidentale della Bretagna, da alcuni mercanti bretoni. Il corpo santo restò nella suddetta città per quarant’anni, fino a quando il comandante romano Gavinio si impossessò delle reliquie e le trasportò nella sua terra natia, cioè a Velia, dove furono sepolte in una Chiesa e onorate per lungo tempo.

Con il passare dei secoli, in seguito a contingenze belliche e a fenomeni naturali, la città andò in rovina e si perse il ricordo del luogo dove le sacre spoglie erano state sepolte.

Nell’anno 954 d. C., il Santo Apostolo apparve in sogno a Pelagia, una donna devota che abitava nella piana di Velia, dandole precise indicazioni sul luogo del suo sepolcro e chiedendole di spronare il figlio, il monaco Atanasio, nella ricerca del suo corpo.

Ritrovate le reliquie Atanasio, dopo aver tentato invano di trasportarle in Oriente per farne commercio, le depose in una chiesa dedicata alla Santa Genitrice Vergine Maria, non lontana dalla sua cella.

Nella nostra zona l’unica chiesa del tempo di cui abbiamo notizia è quella nominata in un documento del 950 d. C., nel quale si specifica che nel territorio “ad duo flumina”, alla confluenza dei fiumi Alento e Velino, nel distretto della Lucania, è sita una chiesetta dedicata alla S. Madre di Dio Vergine Maria.

In un documento del 1096 viene nominata la stessa chiesa “ad duo fulmina” con l’intitolazione al Beatissimo Apostolo Matteo: incontestabilmente l’attuale Cappella di S. Matteo, che altro non è se non la ristrutturazione di quella citata nel documento del 950, alla quale, trasferite a Capaccio le reliquie che vi erano state depositate, venne mutata l’intitolazione in quella di San Matteo.

Questa ipotesi trova conferma nell’esistenza, all’interno della cappella, dell’arcosolio, utilizzato per conservare le sacre spoglie, che diversamente non troverebbe giustificazione.

Al racconto del passaggio delle reliquie di San Matteo a Marina di Casal Velino quella eco di malinconia che ogni anno, il 21 settembre, inebria l’aria non può non assumere il senso della storia… Una storia che si intreccia con la leggenda nel tentativo essenziale di ricostruire i tratti antropologici della terra in cui viviamo.

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