“Canzone d’autore”: cantautori ad Albanella in occasione di “Botteghe d’Autore” e il live di Erica Mou

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“Canzone d’autore”: cantautori ad Albanella in occasione di “Botteghe d’Autore” e il live di Erica Mou

Il 9 agosto ad Albanella, all’interno della tre giorni multidisciplinare “Botteghe d’autore”, fra libri, cinema e musica, si svolgerà “Canzone d’autore”, l’appuntamento che più ha promosso il nome di Botteghe d’Autore e che ha visto nel corso degli anni accrescere e consolidare la propria rilevanza.

I finalisti in gara saranno valutati da una giuria composta da musicisti e giornalisti di settore.

Ospite della serata il vincitore della scorsa edizione Emanuele Bocci, con il brano “Non ci sono più parcheggi”, contenuto nell’album “Un po’ gabbiano”.

La serata si concluderà con il concerto di Erica Mou.

Di seguito alcuni degli artisti che parteciperanno alla kermesse si raccontano a Giornale del Cilento.

La Bestia Carenne
«I manoscritti del dottor Frankenstein non sono andati persi. Ebbene sì, SI PUO’ FARE! La ricerca dell’eccellenza è in questo caso un progetto chiarissimo, “la graziosa Kàren”. Ci rifugiammo in un casolare lontano da tutti, dalle cose, dal respiro del mondo per dare calore ad un essere antropomorfo. Così cucimmo assieme i pezzi migliori di ognuno di noi, le fantasie come le illusioni. Ed eccolo in piedi il prototipo della graziosa Kàren: scarsa cura estetica ed evidenti problemi di deambulazione. Viste le circostanze, né più né meno di tante altre illusioni, accettammo la bestia e incerti sul sesso la chiamammo CARENNE. Lontani da tutti, dalle cose, dal respiro del mondo. Dal cibo. Dall’acqua calda. Gli donammo amore e la bestia ci rispose “fame”. La bestia CARENNE ora si nutre di: Giuseppe Di Taranto, Luigi De Cicco, Antonello Orlando, Vincenzo Ippolito e Paolo Montella».

Giuseppe Cucè
«Mi presento, sono ciò che scrivo, quello che esprimo,  gli anni che ho vissuto. La gente che ho incontrato. Il cibo che ho scelto di mangiare. Un libro che ho letto. Il mio gatto. Anzi i miei 4 gatti. Sono il mio nemico. Ma sono anche il mio amico più caro. Sono uno pieno di difetti che trascorre il tempo a cercare di correggerli. E magari forse qualcuno preferisce conservarlo! Sono uno come tanti altri. Sono la musica che amo. Che ascolto. Che faccio. Sono un litigio. Sono una carezza. Sono uno che ama la vita!».

Emanuele Bocci
«Emanuele Bocci, cantautore, classe 1976, 1° canzone scritta dicembre 1994, ultima marzo 2012. Un anno fa ho vinto Botteghe d’autore con “Non ci sono più parcheggi”, nel frattempo ho messo in cantiere un nuovo disco, preso due multe per divieto di sosta, fatto un po’ di concerti in giro per lo Stivale. Essere un cantautore oggi? è sempre più difficile, ma continuo e insisto, perché sono testardo e tenace? No, perché mi diverto parecchio. Progetti futuri o sogni nel cassetto?Non trovo un cassetto abbastanza capiente, sicché i sogni mi girano sempre per la testa e per lo studio. Mi piacerebbe fare un concerto con le mie canzoni suonate da una banda di strada. Perché ascoltare Emanuele Bocci? Perché se vi piace potreste ad esempio. Regalare un mio disco al vostro partner, al vostro migliore amico, alla zia lontana, alla nonna, ma anche al nipotino e suggerire a tutti di cercarmi su FB e mettere “mi piace” sulla mia pagina che sono solo a 222».

Emilio Stella
«Per presentarmi in prima persona al pubblico, credo che la maniera più onesta per farlo sia dire che ciò che esprimo in musica non è nient’altro che la mia realtà. Non mi azzardo a scrivere cose che in qualche modo non tocchino le corde di una verità conosciuta. Le parole che scrivo sono semplicemente la trasposizione del mio vissuto. E’ come giocare a fare psicoanalisi da solo».

Parvenu
«Che musica è? Se proprio si vuole, parvenu fa musica POP. Proprio POP, partendo insistentemente dalla canzone (però dentro, va detto ben chiaro, c’è di tutto, e si sente: dal tango al rock, dal samba al blues, dal cantautorismo più radicale alle idee vaghe, dai brani strumentali ai brani chiacchieratissimi e strumentalizzati)».

Marco Turriziani
«Mi chiamo Marco Turriziani, classe 1966, un retroterra di musicista che parte da molto lontano. Già da bambino, a casa mia, girava tanta musica. Mio padre era musicista, mia sorella è musicista, cos’altro sarei potuto diventare se non un musicista? Ho preso il diploma in contrabbasso e, per parecchio tempo, ho suonato in orchestre di musica classica. Ma prima di questo, sono stato un chitarrista, e poi bassista, rock. A dodici anni ho conosciuto quello che è diventato da allora il mio fratello di canzoni, Danilo Pennone, con me anche qui alle Botteghe d’Autore, e insieme, inebriati dalla musica dei Beatles, abbiamo dato vita a una band, i Ghiaccio, lasciandoci influenzare molto anche dalla musica della fine degli anni Settanta, e cioè il post-punk, la New Wave e tutto quello che affondava le radici nel buon rock di matrice inglese e americana. Abbiamo iniziato a scrivere canzoni, con quella freschezza e quell’energia che si possono avere solo a quindici anni. La tenacia e l’entusiasmo sono rimasti gli stessi di allora. Con la maturità, ho cominciato ad avvicinarmi sempre di più ai cantautori italiani, apprezzando la ricchezza soprattutto dei loro testi. De Andrè, Fossati e tutta la scuola genovese, Piero Ciampi, Gaber, Jannacci, insomma il meglio della tradizione nostrana. La mia formazione rock, però, mi ha riportato tutte le volte su una strada che non fosse soltanto marcatamente individuale ma  il più possibile corale, e allora ho voluto sempre essere accompagnato da band di cui mi sentissi parte integrante e non solo il “front man” e basta. Tutti i musicisti che suonano con me non devono avere soltanto la sensazione di accompagnare un cantautore ma sentire una propria identità di gruppo e di orchestra.  Nella mia lunga carriera ci sono state anche delle parentesi in cui mi sono prestato ad altre esperienze, mi riferisco per esempio alla collaborazione con Latte e i suoi derivati, o al lavoro con Enzo Salvi, per il quale mi sono occupato non solo delle musiche nei suoi spettacoli. Ho lavorato molto per il teatro. Nel 2007 ho messo in scena, sempre con Danilo, la commedia musicale “Era l’estate dell’amore” e ancora l’anno dopo “Confessioni di una mente criminale”, tratto dal suo romanzo omonimo. In tutti questi lavori, oltre a curare le musiche, ho anche recitato, interpretando soprattutto ruoli brillanti. I due sentimenti vengono spesso fuori: una parte di me molto scanzonata e un’anima invece più riflessiva e sensibile a tutto quello che tocca le nostre vite. Esattamente questo è lo spirito col quale ho intrapreso la mia carriera di cantautore. Ascoltando il mio ultimo lavoro, ma anche il disco precedente, viene fuori la mia doppia anima, che ho cercato di coniugare, grazie anche alla collaborazione di tutte quelle persone che mi sono state vicino in questo cammino, non sempre facile. Il mestiere del musicista, e quello del cantautore in particolare, richiede nervi saldi, spalle grandi, gambe forti e stomaco solido. Ed è quello che racconto anche nelle canzoni. Non c’è cosa più avvilente per un musicista vedere che la musica, l’arte e la cultura più in generale, sono nelle mani di persone inadeguate, incapaci di valorizzare i talenti e le potenzialità. L’unico valore per queste persone sembra essere il profitto, indipendentemente dalla qualità che si propone. E allora molto spesso, noi che lavoriamo nel mondo dell’arte, ci sentiamo stranieri. Stranieri nella nostra tradizione, nella nostra cultura, nel nostro modo di esprimerci. È sempre più difficile trovare spazi in cui un artista possa esprimersi senza dover sottostare a certi cliché ormai imposti. Botteghe d’Autore, però, è la prova che si possono creare spazi alternativi per dar voce a tutti i talenti che altrimenti verrebbero soffocati dall’indifferenza. Il brano che presento nella serata dedicata alla canzone d’autore fa parte del mio ultimo album “Straniero”, uscito ormai da qualche mese. È un valzerone, scritto a quattro mani con Danilo Pennone. Canto di un Cristo tornato oggi sulla terra per ritrovarvi tutto quello che pensava d’aver sconfitto con la sua morte. Evidentemente, siamo riusciti a rendere vano perfino quel sacrificio. È un pezzo ironico ma anche maledettamente drammatico. Vuoi con la fede o con la ragione, comunque, non siamo riusciti a liberarci dai cappi che ci stringono da più di duemila anni: guerre, miserie, sfruttamento, abusi di potere… È chiaro che non pretendo dare delle risposte, ma è importante far sentire sempre la propria voce. Creare canali per trasmetterla. Attraverso le canzoni, la poesia, il teatro… L’arte ha questo compito. Far capire di essere presenti e attenti a quello che succede attorno. Che nessuno abbassi mai la guardia! Questo è il mio grido. E chi scrive canzoni sa che è anche un po’ il suo dovere».

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