Intervista a Pietro Avallone, un cilentano a Napoli con la passione per la fotografia (FOTO)

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Intervista a Pietro Avallone, un cilentano a Napoli con la passione per la fotografia (FOTO)

Avallone ha collaborato alla realizzazione del libro gastronomico “Storie e ricette de La Cantinella”  di Francesco Aiello, la sua collaborazione fotografica ha dato al libro un taglio solare con scorci e vita di Napoli molto suggestivi. Si definisce: «fotografo amatoriale ma con dedizione professionale», nel 2004 vince “Spalle al mare” concorso fotografico indetto dalla Feltrinelli di Napoli, nel 2005 esordisce con una mostra al Meeting del Mare a Marina di Camerota dal titolo “Altrove che qui” e sempre nel 2005 a Lacco Ameno (Ischia) con “Scelte di vita”. Vive a Napoli per motivi di studio, ancora pochi esami per la laurea, ed è molto legato al suo Cilento, non manca, infatti, di tornare periodicamente nella sua Camerota dove peraltro passa le vacanze estive.

Come nasce la sua passione per la fotografia?
«La vocazione si manifesta durante il Corso di Laurea, essendo  l’Architettura  una disciplina di frontiera, di cui devono accettarsi la contaminazione e il contributo reciproco con altre discipline. Sono stato subito attratto dalle arti visive in genere, con particolare interesse per l’arte concettuale, la minimal art, la land art, il cinema e quindi la fotografia. Inoltre, il mio piano di studi includeva la prova di “Percezione e comunicazione visiva”,  da molti studenti  identificato come l’esame di fotografia.
Successivamente, a consacrare tale passione, fu una mostra fotografica dell’architetto e designer Ettore Sottsass, al Museo di Capodimonte nel 2004.  Evento che mi ha aperto letteralmente la mente e gli occhi, una lezione visiva e silenziosa: li ho capito che per saper fotografare bisogna imparare ad osservare,  avere intuizione, fantasia oltre ad iniziare a costruirsi un bagaglio culturale che non dovrà mai chiudersi.»

Ha dei fotografi a cui è particolarmente legato, che lo hanno ispirato? 
«Guardo molto le opere degli altri fotografi, dai grandi maestri a quelli emergenti, ma non tanto per esserne ispirato quanto per coglierne gli aspetti tecnici e comunicativi. Diverso è il discorso per l’ispirazione, è ambiguo e pericoloso: si necessita di far propri i lavori degli altri, possederli, ma  poi bisogna saper metabolizzarli e quando sei chiamato in causa per operare dimenticarli. Loro sono tanti io solo – direbbe Troisi – ma personalmente ritengo Henri Cartier-Bresson il punto di partenza per ogni fotografo, considero classici Richard Avedon, Robert Capa, Herbert List per citarne solo alcuni tra i tanti, poeti Sebastiao Salgado e Ansel Adams, genio Man Ray, supremo Helmut Newton. Anche gli italiani meritano un posto di tutto rispetto, e della scuola napoletana non si può non conoscere Mimmo Jodice; interessanti i lavori di Antonio Biasucci e Raffaela Mariniello, suggestivi ed emozionali quelli di Luciano Romano. Ma non solo fotografi, cerco di cogliere spunti interessanti ed a volte molto utili, soprattutto a livello compositivo, anche da registi quali Truffaut, Leone, Tornatore, Moretti… e  da colui che è il cinema, ovvero Stanley Kubrick. Inoltre pittori, specie De Chirico ed Hopper, passando obbligatoriamente per Michelangelo Merisi. Infatti  la fotografia tecnicamente nasce nella prima metà del XIX secolo in bianco e nero con i primi dagherrotipi, ma è pur vero che  il Caravaggio ne aveva  già  dato un anticipazione –  e a colori – due secoli prima. La saturazione dei colori ed il forte contrasto tra luce ed ombra sono regole canoniche della fotografia. Del resto l’evoluzione è lineare: pittura, litografia, fotografia. »

Usa la  reflex con i classici rullini oppure è passato anche lei alla digitale?
«Uso la reflex analogica e non per una questione vintage. A livello di qualità, da circa un paio di anni, il digitale ha eguagliato l’analogico, ma parliamo di macchine da un certo costo in su, roba da professionisti, non per amatori. Il digitale certo facilita molto il lavoro, tuttavia restano valide  le regole e tecniche della fotografia con pellicola.  Con questa evoluzione si è avuta una sorta di liberalizzazione della fotografia, esasperata anche dall’inserimento di fotocamere nei telefoni cellulari e negli ipod, e dalla creazione di apposite applicaazioni per scattare e modificare le foto, nonché condividerle nei vari social network.»

Che legami ha con il cibo, visto che i suoi scatti “culinari” hanno una realistica espressione che di solito viene fuori per le cose che si amano. Si ritiene un gourmet o è solo un’esternazione della sua arte a dare vita ai piatti fotografati nel libro “Storie e ricette de La Cantinella”?
Se per Gourmet intendiamo “buongustaio”, come da traduzione alla lettera, le rispondo sì, ma senza avanzare alcuna pretesa nei confronti dei degustatori professionisti. Con il cibo ho un rapporto felice,esso non è solo nutrimento, ma anche piacere, cultura, tradizione, geografia, colore, profumo ed infine sapore. Mi piace sapere ciò che mangio, sono complicato poichè non divoro tutto, ed ho anche una certa dimestichezza ai  fornelli. Per i piatti fotografati mi ha giovato senz’altro l’esperienza lavorativa come cameriere nel passato, ma essendo la prima volta ed avendo optato da subito per operare senza flash, vi è stato un accurato studio sulle luci, ed altri accorgimenti per ridurre al minimo i riflessi dentro i piatti. L’obiettivo era  che ciò che si fotografava  dovesse risultare invitante. Poi ovviamente vi è anche il merito dello chef Carlo Spina, che ha ideato delle composizioni perfette.»

Deve conoscere bene Napoli visto anche i magnifici scorci di vita quotidiana fotografati, da quanto tempo ci vive?
«Ci vivo da circa 12 anni. La conosco abbastanza bene, anche se vi sono dei posti che le confesso non ho mai visitato. Napoli è una città spettacolare, oltre che per la  tradizione oleografica vanta un patrimonio storico-artistico che in Italia è, forse, inferiore solo a quello di Roma. Ovviamente non valorizzato e non sfruttato in tutte le sue effettive potenzialità! E poi ha una particolare luce, calda, ruvida, accogliente e misteriosa.»

Ha un piatto cilentano particolarmente a lei caro?
«Adoro molto la pasta fatta in casa,  specialmente ” cavatelli col ragù “e “lagane e ceci”. Per i secondi ho un buon feeling con le alici e il baccalà, in tutte le varianti possibili. Apprezzo molto la ciambotta, ma anche piatti molto semplici come il pane biscottato col pomodoro, da noi denominato “viscuttello” e nella Napoli del “bene” in maniera più raffinata caponata. Per il capitolo dolci sorvoliamo.»

Ha lasciato il Cilento, per la precisione Camerota, ne sente la mancanza, pensa di tornare a viverci?
«Al momento è un allontanamento temporaneo, per il futuro  non posso fare programmi.  Ma in ogni caso i legami con esso sono ancora ben saldi.  Il luogo di origine non si può dimenticare mai, in più il mio  è anche uno dei più belli d’Italia, tante è vero che Marina di Camerota era conosciuta come la Perla del Cilento, definizione che oggi abbiamo perso a vantaggio – meritato – di Castellabate. Certo in questo momento   non attraversa un momento felice, è in una fase regressiva, causa una crisi che ancorchè politica è dapprima sociale e culturale. Negli ultimi 15-20 anni si è spalancati gli occhi soltanto verso un  benessere subitaneo, ed in molti casi finto, dimenticandosi del non ritorno nel lungo periodo. Ed ora ne paghiamo tutti le conseguenze, trovandoci nel caos, con un territorio svalutato e molti più problemi da risolvere. Ma risolvibili, però con urgenza. Dobbiamo creare le condizioni per far si che il nostro territorio torni ad offrire opportunità, ma per tutti e non per i soliti noti.»

Che cosa è la fotografia, e quindi il mestiere del fotografo?
«La fotografia è l’arte – in senso lato – di scrivere con la luce. E’  in ogni caso comunicazione e ricerca, sia se si tratta di fotografia documentativa che  espressiva. Sicuramente  non può essere ridotta ad un semplice click. Mi fa piacere che parla di mestiere del fotografo, perché se  spesso la fotografia viene considerata arte in quanto accettata e riconosciuta come tale, è altrettanto vero che egli, salvo rare eccezioni, non è un artista. Ma una persona che lavora, utilizzando uno strumento e mettendo in pratica delle regole teoriche che poi con l’esperienza possono essere anche personalizzate. Egli non deve aspettare l’ispirazione, ma osservare ed  eseguire, con una sintesi simultanea  tra tecnica, intuito e fantasia. Tale sintesi si affina con l’esercizio continuo. Citando Henri Cartier Bresson, per non sbagliare, “Fotografare…E’ porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore.” La foto si costruisce, prima che venga impressa deve essere già ben definita nella mente di chi la esegue. E il fotografo deve saper fotografare tutto.»

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