“Avrei voluto vivere”: intervista a Maria Nicoletti, poetessa di Laurino

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“Avrei voluto vivere”: intervista a Maria Nicoletti, poetessa di Laurino

AVREI VOLUTO VIVERE
Maria Nicoletti, Italia

Ho alzato le braccia alla luce
Ho sentito treni muti
Ho visto inesplicabili punizioni

Vorrei morire, stringendo i pugni
Lo vorrei con ogni forza
Ma vorrei prima aver vissuto

Intervistiamo Maria Nicoletti, poetessa originaria di Laurino che con la poesia “Avrei voluto vivere” vince il concorso indetto dal portale 5 avenida dedicato a 5 eroi cubani detenuti da oltre tredici anni.

Maria Nicoletti, Laurino… Cilento…
Non c’è dubbio. Allora, nel 1958 si nasceva a casa, a limite, casi estremi però veri, per strada, ma nel proprio paese.

È felice? Che effetto fa essere davvero in cima al mondo della poesia… ciò detto senza enfasi, alla luce delle molte liriche prodotte per il concorso 5 poesie per ognuno dei 5, oltretutto dovendosi confrontare con i formidabili poeti cubani?
No, no. Ci mancherebbe altro. Sono certa che nessuno dei poeti che hanno conferito le proprie liriche abbia mai sentito di essere in gara. L’idea era: portare a conoscenza dell’opinione pubblica il dramma dei cinque detenuti. A questo progetto ho aderito volentieri. Di conseguenza e francamente: fa rabbia, pur avendo avuto riscontri favorevoli. Non mi piace l’idea della prigione. È troppo vicina a quella dei manicomi e pare chiaro che le celle, quasi dappertutto e quasi sempre, siano piene di povera gente, maleodoranti, anguste… Chi potrebbe pensare che un tossicodipendente debba essere segregato invece di essere curato? Qualora, poi, ci si ritrovi a essere detenuti ingiustamente, addirittura per evitare reati e, comunque, per cercare di salvare la vita ai propri connazionali, mi pare evidente come ci si trovi in una situazione che dovrebbe togliere il sonno a tutti. Per me civiltà giuridica significherà sempre e solo che è meglio assolvere un colpevole che condannare un innocente.

Prima della poesia AVREI VOLUTO VIVERE, hai prodotto altro?
Altre quattro poesie per i 5 e molte altre, mai pubblicate e mai fatte leggere, contro i manicomi, per la tutela dei bambini, degli anziani, della natura e così via.

I manicomi: un tema ricorrente pare…
Certo. Forse anche per un fatto generazionale. Le brutture delle istituzioni manicomiali sono indigeste. Per fortuna c’ero nel movimento studentesco che ospitò Franco Basaglia, Sergio Piro e altri in una assemblea a Salerno nel 1977. Poco dopo entrò in vigore la cosiddetta legge Basaglia. Fu la liberazione, ma esistono ancora, pure in Italia, i manicomi criminali.

Abbiamo azzardato una analisi della tua lirica. La trovi corretta?  
Credo sia fondamentale che ognuno legga e riconosca nei versi ciò che ha dentro di sé, relativo al tema. Tuttavia, non posso negarlo, ci sono molti argomenti che avete tratto correttamente dalle parole. È arrivato il senso e mi fa piacere.

C’è altro che ci è sfuggito?
Mancano le ragioni, il retroterra, che non possono essere conosciuti solo leggendo dei versi, però a me pare chiaro che chi scriva, se si hanno presenti le proprie origini, l’ambiente dove si sia cresciuti, le storie che ascoltate, si sceglierà un tema, invece di un altro. Ogni parola sarà intrisa delle tue radici, di ciò che sei.

E cosa sei tu?
Una donna. E Cilento. Solo Cilento, il che significa bassa statura (negli anni ’50 difficilmente si trovavano cilentani alti), come i sardi, a esempio, ma non lo sapevi, visto che ti bastava salire al Palazzo, o guardare giù dal muraglione di Laurino, per sentirti una aquila. Cos’altro sono i cilentani… Beh, avendo in mente quelli del Cilento interno, visto che noi a mare non ci andavamo, da piccoli: natura, animali, anziani in piazza, vicoli senza pericoli, pane cotto al forno a legna, formaggio, lavoratori straordinari che si portavano e si portano dietro, per il mondo, ferite aperte da ingiustizie estreme. Eravamo, siamo, anche il frutto evidente di una cultura antica (ma è sempre così): basterebbe analizzare il dialetto, il folclore, le opere che si mettevano in scena a teatro, la religiosità vissuta come fatto collettivo, rituale, non emarginante e non solo consolatorio… Forse per questo, quando qualcuno ci chiama, soprattutto se lontani dal Cilento, impieghiamo poco a capire quali siano le cause giuste. Quella dei 5 detenuti in U.S.A., a me svelata dall’incontro fortuito con 5 Avenida e con Stefano Guastella, mi parve subito più che giusta. Lo è ancora e mi ferisce sapere cinque persone recluse ingiustamente.

E i forconi dei contadini pronti a lottare per avere o difendere le terre, gli incendi dei boschi di Laurino, appiccati per la rivoluzione del 1828, i briganti… hanno a che fare con i tuoi versi, ci sono tra quelle parole come retaggio storico?
Molto tempo è passato. I cilentani sono ancora legati alle terre, ma quasi sapessero che sono sia la culla che il talamo. Negli anni che dite voi (complimenti) molti si nascondevano tra le gole più impervie, altri si apprestavano a fuggire. Fu un salasso, le migliori energie vennero cancellate. Cuba ha subito e subisce vicende simili, ma accade da cinquanta anni a questa parte, mi pare assurdo. Spero finisca presto, subito.

C’è altro che vorresti dire per chi ti conoscerà leggendo l’intervista?
Sì: per gli amici sono Cristina, ma non pensate a me, che ho solo scritto dei versi. Se potete pensate ai cinque eroi cubani e a chi ha voluto far conoscere la loro storia: Stefano Guastella e Quintavenida.

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