I siti archeologici del Cilento. Roccagloriosa: un esempio da seguire… con cautela (parte III)

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I siti archeologici del Cilento. Roccagloriosa: un esempio da seguire… con cautela (parte III)

Prosegue la nostra inchiesta sui siti archeologici del Cilento partita con dei sopralluoghi a Sacco e Roscigno, due siti in evidente stato di degrado.

Oggi continuiamo con l’analisi del sito archeologico di Roccagloriosa.

Continua da I siti archeologici del Cilento. Roccagloriosa: Un esempio da seguire… con cautela (parte II).

4.§ La nuova documentazione dall’edificio “pubblico” sul Pianoro Centrale

Oggetto di discussione è la possibile presenza di spazi collettivi di natura cultuale, per cui Roccagloriosa ci ha fornito esclusivamente l’eccezionale documentazione del sacro inserito all’interno del cortile porticato di una residenza signorile.

Sembra possibile affermare, tuttavia, alla luce della più recente documentazione sugli sviluppi dell’organizzazione insediativa tra i decenni finali del IV secolo e gli inizi del III, che potrebbe essersi sviluppato sui cosiddetti “Piani di Mariosa”, esterni alla cinta muraria, su di una collinetta a comando della media valle del Mingardo, un probabile edificio di culto “collettivo”.

Ciò sulla sola base dei resti architettonici di superficie relativi ad un lungo muro in blocchi di calcare, a cui appartenevano due basi di colonna.

Tra gli edifici per cui è stato possibile ipotizzare una funzione pubblica è da menzionare il vasto ambiente al margine nord del pianoro centrale, di cui sono stati scavati massicci resti di murature.

Quest’ultimo è apparso senza dubbio quello con caratteristiche più evidenti di destinazione a funzioni di carattere pubblico, innanzitutto per la sua collocazione.

L’edificio si trovava all’interno delle mura, non lontano della monumentale porta centrale.

La sua collocazione sul limite settentrionale del pianoro centrale in un’area di accentuato sfalsamento altimetrico, ha fatto si che l’edificio sia stato rinvenuto in uno stato di conservazione disastroso a causa delle frane successive all’abbandono.

Lo scavo si è limitato a documentare solo alcuni allineamenti di poderosi muri che ne indicano caratteristiche più complesse ed una tipologia costruttiva diversa da quanto riscontrato nei complessi abitativi sinora scavati sul pianoro centrale.

Sebbene la pianta risulti irrimediabilmente frammentaria, è da sottolineare che la quantità e varietà di manufatti recuperati dal pur parziale intervento di scavo stanno ad indicarne una funzione del tutto particolare.

La ceramica rinvenuta si data dalla metà del IV alla seconda metà del III secolo a.C.

Da sottolineare la cospicua presenza di skyphoi, patere a vernice nera, ciotole emisferiche e baccellate sovradipinte, esemplari di vasi miniaturistici ed anfore che ne documentano un uso cerimoniale.

Significativa è la presenza di armi, del tutto assenti negli altri contesti abitativi scavati sul sito, rappresentate da almeno tre punte di lancia o giavellotto in ferro, frammenti di un cinturone in bronzo e la ricca serie di appliques di bronzo raffiguranti uno scudo bilobato, documentati anche in altre zone del pianoro centrale, ma qui rinvenuti in una particolare concentrazione.

Il filo di bronzo rinvenuto intatto, in più di un caso all’interno dei due fori di attacco, lascia pensare con tutta probabilità  ad un gancio che ci induce a configurare tale gruppo di appliques dall’edificio in questione quale una sorta di phalerae bronzee per un oggetto di armatura di materiale organico deperibile (corpetti, cinturoni, elmi, scudi).

Le phalerae sono del tutto assenti nelle tombe di individui maschili a Roccagloriosa che sono caratterizzate dalla presenza del cinturone di bronzo, ma sono state rinvenute nelle tombe maschili di altri siti.

Il documento di gran lunga più qualificante fra i reperti dell’edificio in questione è un grosso puntale di bronzo, sagomato in maniera piuttosto elaborata da cui usciva un’asta di ferro ora scomposta a causa dell’avanzato stato di ossidazione, dalla quale però sono emersi elementi tali da supporre che possa trattarsi dell’impugnatura di un oggetto da parata, identificato da una iscrizione quale oggetto di proprietà pubblica e depositato nell’edificio in questione.

CONTINUA

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