Arresti a Camerota, «le casse del Comune come un bancomat personale»

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Arresti a Camerota, «le casse del Comune come un bancomat personale»

Soldi, assunzioni di personale, lavori edili privati gratis, pass gratuiti per parcheggi e ormeggi durante il periodo estivo. Per la procura di Vallo della Lucania sotto queste forme venivano pagate tangenti a 12 persone che facevano parte dell’amministrazione comunale di Camerota dal 2012 fino al 2017 da imprenditori ‘amici’ per ottenere, in cambio, appalti. E’ il quadro che emerge dall’inchiesta che stamani ha portato in carcere tre persone, tra cui l’ex sindaco Antonio Romano, altrettante ai domiciliari mentre sei indagati hanno ottenuto dal gip vallese il divieto di dimora. Tra destinatari di misura cautelare, ci sono l’ex sindaco del Comune cilentano, ex assessori, ex consiglieri comunali, funzionari e dipendenti di alcuni uffici comunali che, a vario titolo, rispondono di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, peculato, abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, appalti truccati e distrazione di denaro. L’attività investigativa è nata nel 2016 da un accertamento riguardante una vicenda di appropriazione, da parte di funzionari del Comune, dei proventi della Tosap, la tassa di occupazione di spazi e aree pubblici. Con la collaborazione dell’ufficio ispettivo della Ragioneria Generale dello Stato, i militari dell’Arma hanno fatto emergere un «collaudato sistema criminale, basato su logiche affaristiche e clientelari, funzionale alla spartizione illecita degli appalti a imprenditori amici, in un circolo vizioso ed impenetrabile i cui partecipi prosperavano a tutto discapito dell’efficienza, trasparenza e buona organizzazione dell’azione amministrativa», dice il procuratore, Antonio Ricci.

LE FOTO DELL’OPERAZIONE

Nell’amministrazione comunale di Camerota dell’epoca, sarebbe stata creata «una struttura in grado di interferire e sovrapporsi all’operato pubblico». In questo contesto, avrebbe trovato terreno fertile «la spartizione di gare d’appalto comunali, sistematicamente indirizzate a favore di società riferibili agli stessi amministratori o comunque a soggetti vicini». Amministratori locali e funzionari del Comune avevano creato un gruppo le cui attività «sotto le direttive del R. e del T. (le iniziali dei cognomi di due indagati) e si sarebbe avvalsa di diverse funzioni esecutive e collaborative da parte di altri indagati. La procura, definendo «grezzo ma efficace» il sistema messo su, sottolinea come sarebbe stata rilasciata anche «regolare ricevuta» delle ‘regalie’ a dimostrazione del «fertile humus e della sostanziale anarchia che regnava nell’ente comunale di Camerota».

Dunque, «un affare per pochi amici», spiega il procuratore, a Camerota, dove «fino al dicembre 2016, il codice degli appalti non ha trovato continua e rituale applicazione». Per il comandante della Compagnia dei carabinieri di Sapri, il capitano Matteo Calcagnile, gli amministratori «utilizzavano le casse comunali come un bancomat, usando e distraendo soldi pubblici in maniera autonoma per spese private che venivano, poi, giustificate con fatture false». Gli indagati davano vita anche alla «sistematica occupazione dei ruoli chiave all’interno di Comune e delle società partecipate». Quasi tutte le gare d’appalto sarebbero state pilotate verso società con a capo imprenditori collegati agli amministratori pubblici da amicizia, da parentela o da comuni interessi economici. In cambio, gli imprenditori avrebbero fornito somme di diverse migliaia di euro, avrebbero assunto personale indicatogli dagli amministratori, 14 persone almeno, avrebbero eseguito gratuitamente lavori edili privati e avrebbero fornito pass gratuiti per parcheggi e ormeggi durante l’estate.

Le assunzioni e i ruoli nell’associazione sarebbero stati, di continuo, controllati dai vertici che li avrebbero distribuiti a seconda della quantità di voti che ciascuno di essi avrebbe potuto garantire per non alterare gli equilibri interni.

Inoltre, gli inquirenti, collaborando con la Ragioneria di Stato, hanno scoperto anche «il sistematico ricorso alla falsificazione del bilancio comunale», che sarebbe avvenuto con false attestazioni sull’avvenuto rispetto del patto di stabilità, dal 2012 al 2015, certificato come rispettato, invece, con delibere della giunta comunale, ogni anno. Per la procura, invece, quella falsa riduzione delle spese correnti sarebbero state coperte con l’emissione di fatture false per mascherare i ‘buchi’ di bilancio degli anni precedenti.

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